Economia & Lobby

Droni, il futuro della Difesa

Alexis De Tocqueville sosteneva che “vi sono due cose che un popolo democratico farà sempre con grande fatica: cominciare una guerra e finirla”. Un fatto difficilmente negabile. Le popolazioni che vivono in governi con libertà di voto hanno spesso differenti visioni su ogni tema: una ricchezza inestimabile dal punto di vista della crescita sociale, una criticità se lo stato deve perseguire l’interesse nazionale con metodi estremi.

Cinicamente parlando le guerre hanno un punto debole: i suoi soldati. Nell’epoca delle democrazie un soldato che torna dal fronte morto, con un danno fisico o mentale permanente, è un lutto per la nazione ed una sofferenza per la società. In un mondo ideale si potrebbe dire che le guerre sono brutali, che sono un retaggio del passato, che debbono essere eliminate. Non esistendo un mondo ideale, gli stati democratici e i relativi governi devono trovare una soluzione per cui il conflitto sia percepito come giusto, e con il minor tasso di partecipazione della società umana. A partire dal 2000 le piattaforme di difesa e ricognizione automatizzate (comunemente noti come droni) sono via via entrati con crescente velocità nelle armate moderne.

Quando si parla di droni impiegati in scenari bellici gli esempi più classici, e deprecabili, sono i richiami a film catastrofisti e apocalittici dove le macchine uccidono, ribellandosi all’uomo. Da Terminator in poi la filmografia moderna è piena di queste pellicole. La realtà è ben lontana dalla finzione. I droni sono, semplificando, mezzi telecomandati. Concettualmente non sono differenti dai modellini di auto, aerei ed elicotteri che si usano come giocattoli. La grande differenza ovviamente sta nel loro utilizzo e gli effettori di cui sono dotati. Vi sono differenti analisi su come i droni abbiano cambiato il concetto stesso di guerra, riducendo inoltre il rischio di esposizione per le truppe impiegate sul campo. Ovviamente non sono mancate critiche e errori, pur sempre di valutazione quindi legate al pilota del drone, sui bersagli da ingaggiare. Nel continuo sforzo per ridurre i danni collaterali (termine molto “politically correct” che nasconde numeri e casi ampliamente analizzati) gli eserciti occidentali hanno creato piattaforme più avanzate.

Nell’ottica di un miglioramento dello scenario bellico in termini di raccolta dati sul campo il nuovo progetto Global hawk sta sostituendo i vecchi aerei U2. Il nuovo drone è già stato acquisito dalla nato: 5 modelli saranno la Colonna portante del programma AGS per la ricognizione aerea europea.

Il Global hawk è un unità priva di ogni arma, vola a 10 km di altezza e può rimanere sul bersaglio per oltre 30 ore. Attualmente non esistono piattaforme simili a disposizione delle altre grandi nazioni, quali Russia e Cina. L’adozione da parte delle forze armate di droni così avanzati getta un incognita sullo sviluppo delle future guerre. La matrice legale su cui si fonda il diritto internazionale non prevede i droni. Attualmente l’uso di questi mezzi ricade in un eccezione di diritto, più corretto dire un’area grigia. Tuttavia la continua evoluzione tecnologica porterà in poco tempo molte nazioni nelle condizioni di poter disporre di unità aeree telecomandate. In questo prossimo futuro la definizione di aree di operatività autorizzata e aree dove non si può agire sarà di massima importanza, per evitare conflitti legali frammentando ulteriormente la matrice di diritto internazionale.

@enricoverga