Cultura

‘Wonderland’ a teatro: Alice cade nel buco nero del coma. E rinasce

Se recentemente Armando Punzo, con i suoi attori detenuti della Compagnia della Fortezza, aveva puntato tutto sulla prima parte del titolo del capolavoro di Lewis Carroll, il nome della ragazzina protagonista delle incredibili peripezie ed avventure, stavolta, nella messinscena del Teatro dell’Argine con gli attori degenti degli Amici di Luca, ci si sposta sul Paese delle Meraviglie, su quel Wonderland che apre gli occhi su panorami incontaminati, su terreni mai calpestati, su visioni mai immaginate. La meraviglia sta nel vedere ancora in piedi, con qualche problema ma in definitiva “in piedi”, persone che hanno attraversato il pesante calvario di lunghi mesi di coma a seguito, principalmente, di incidenti stradali. La bolognese Casa dei Risvegli, specializzata nella riabilitazione di cerebrolesioni acquisite, fondata dai genitori di Luca De Nigris, compie dieci anni (era il 7 ottobre 2004) ed in questi anni testimonial d’eccezione è stato Alessandro Bergonzoni: “Un cavallo in corsa lo danno per vincente, un uomo in coma lo danno per perso. Io punto tutto sui risvegli”, uno dei suoi spot più efficaci.

Da un laboratorio della durata di due anni, condotto dall’Argine (il gruppo teatrale bolognese al quale fa riferimento Mario Perrotta) è scaturita questa piece (registi Nicola Bonazzi e Andrea Paolucci) dove, con estrema ironia, pathos e vicinanza, si ripercorrono, come fosse un diario di bordo, le fasi precedenti all’andare in scena, del portarsi in scena, il raccontarsi, lì, piccoli in un palco così grande, in quadri collettivi come in tagli singoli, una sedia ed i ricordi, dal trauma al dolore fino alla riscoperta dell’oggi, appunto al risveglio, alla vita. Questi tanti Alice sono caduti nel buco nero del coma ma ne sono anche usciti con forza e determinazione ed adesso sono qui a testimoniarlo con il loro corpo e le loro parole in primis. Sono, ci sono, stanno, esistono, resistono, sorridono, scherzano. Ci dobbiamo fare i conti.

Foto di Gabriele Fiolo ©

Otto uomini (ci siamo chiesti del perché di questa particolarità di genere e ci è stato risposto che nella maggior parte dei casi il coma arriva in seguito ad incidenti automobilistici e sono più i maschi, in moto, oppure per la velocità, soggetti a questo tipo di accadimenti) che hanno toccato con mano l’abisso profondo del nulla, dal quale difficilmente si torna per raccontarlo. Tre di loro hanno partecipato allo spettacolo Pinocchio a cura dei Babilonia Teatri. Il fil rouge di fondo è simile: il passaggio, la trasformazione tra ciò che erano in precedenza rispetto all’evento che ha cambiato per sempre le loro esistenze e quello che sono adesso, che sono diventati.

Su un fondale di porte bianche (porte verso altri mondi) chiuse un video dove la pioggia (il pianto, la tristezza) riga il vetro di una finestra, ma che, guardandola bene, potrebbe anche somigliare ad una fragola con i suoi caratteristici puntini se osservata molto da vicino. Ecco, le due facce della stessa medaglia: quello al quale potremmo aggrapparci con rassegnazione e desolazione oppure guardare il bicchiere mezzo pieno, l’esserci, il poter ancora continuare a pensare, vedere il sole, gustare i momenti dell’esistenza, essere felici. Domina il bianco, il colore neutro di quel limbo dallo stato vegetativo.

Foto di Gabriele Fiolo ©

L’amore, una compagn(i)a vicina è il desiderio che con più forza emerge in questi loro pensieri estrapolati che riempiono l’aria. Unico neo le voci registrate; sarebbe stato più deflagrante il messaggio se i momenti di vita quotidiana fossero stati raccontati, o recitati, in presa diretta dai protagonisti, anche con eventuali sporcature o imperfezioni, dimenticanze o sbavature. Il cadere di Alice però è anche un riscoprirsi più forti di prima, sentirsi nuovi in una vera e propria rinascita, resurrezione: “I miei confini li ho persi e li ho rimessi insieme a fatica”.

Ecco le lucciole pasoliniane di meraviglia e stupore per la Natura: “Il mio corpo è il mio Paese delle Meraviglie”. Quel corpo menomato e derelitto, quel corpo ostaggio, quel corpo offeso e malfermo, quel corpo che è mappa e testimonianza, quel corpo che rimane a dispetto di ogni precedente prospettiva. Ecco che il “Morire, dormire” shakespeariano qui ha un senso pieno, compiuto, rotondo: “Se sia più nobile nella mente soffrire i colpi di fionda e i dardi dell’oltraggiosa fortuna o prendere le armi contro un mare di affanni e, contrastandoli, porre loro fine? Morire, dormire…nient’altro, e con un sonno dire che poniamo fine al dolore del cuore e ai mille tumulti naturali di cui è erede la carne: è una conclusione da desiderarsi devotamente. Morire, dormire. Dormire, forse sognare”. Perché dopo il dormire c’è sempre un risveglio.

Foto di Gabriele Fiolo ©

Teatro ITC, San Lazzaro di Savena, Bologna