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Ilva, interrogazione M5s: “Renzi vuole vendere alla sua amica Marcegaglia”

Secondo i pentastellati la prima preoccupazione del premier non è quella di bonificare l'azienda, ma di sanarne i conti per cederla a imprenditori a lui vicini. Altolà di Confindustria allo Stato assistenziale. Le posizioni di Landini e Vendola

Le polemiche scoppiate in scia alle dichiarazioni del presidente del consiglio, Matteo Renzi, che ha annunciato la possibilità di un intervento pubblico per risanare l’Ilva e rivenderla una volta rimessa in sesto, non hanno spostato il premier dalla sua posizione. Alla Camera, il presidente del Consiglio mercoledì ha ribadito “la possibilità, per un certo periodo di tempo, di un intervento pubblico che affronti questione ambientale e che consenta di tornare al mercato“. Ipotesi per altro confermata dal commissario straordinario dell’Ilva, Piero Gnudi, che uscendo da una riunione a Palazzo Chigi ha detto: “Abbiamo fatto una ricognizione della situazione del gruppo Ilva e valutata la possibilità di un intervento pubblico”. Proprio mentre il Movimento 5 Stelle attaccava le intenzioni dell’ex sindaco rottamatore: “Si pensi prima alla bonifica – scrivono i pentastellati in una nota che annuncia un’interrogazione parlamentare – e poi alla vendita al miglior offerente, seppur amico”.

In pratica secondo il Movimento 5 Stelle il premier più che alla bonifica che tuteli la popolazione di Taranto, pensa al risanamento dei conti dell’azienda con soldi pubblici per poi rivenderla agli “amici” del “duo Arcelor Mittal e Marcegaglia che avanza proposte sull’ulteriore alleggerimento delle prescrizioni dell’autorizzazione integrata ambientale e l’esclusione della bonifica a proprio carico”. Una situazione che preoccupa i parlamentari 5 Stelle che ricordano “le perizie epidemiologiche commissionate dalla Procura di Taranto e le conferme dello stato di gravità della salute dei cittadini testimoniate dall’aggiornamento dello studio Sentieri, dopo l’ennesimo richiamo dell’Europa“.

Altolà, ma per motivi diversi, anche dal presidente della Confindustria, Giorgio Squinzi che, in un’intervista a Panorama, sbarra la strada ad eventuali agevolazioni per il suo predecessore Emma Marcegaglia dicendosi non convinto “della presenza diretta dello Stato nell’economia del Paese. Oltre alle regole del mercato, è proprio il concetto in sé che non appartiene agli industriali. L’assistenzialismo di Stato non deve più ingrassare le imprese. Con la stessa franchezza dico però che i poteri dello Stato non devono neppure mettere i bastoni tra le ruote delle imprese. Mi riferisco a quanto è accaduto a Taranto”. Secondo il numero uno degli industriali, “dobbiamo considerare che, al di là della proprietà e delle sue eventuali responsabilità penali, l’Ilva è un gruppo industriale di rilevanza strategica per il nostro Paese. Se chiudesse, usciremmo da un altro settore, la siderurgia, dove deteniamo importanti quote di mercato e che è essenziale per numerose produzioni industriali italiane: vorrebbe dire perdita di Pil e di altre migliaia di posti di lavoro”.

Via libera, invece, dal governatore della Puglia, Nichi Vendola, che parla della “volontà di Renzi di un intervento pubblico su Ilva attraverso la Cassa Depositi e Prestiti per farsi carico dei problemi di liquidità, dell’avvio delle bonifiche e del rilancio della siderurgia” come della “via maestra” da seguire . “Spero non sia una boutade perché riguarda il futuro di 20.000 famiglie e della industria italiana”, ha chiosato.

Cautamente favorevole, infine, il segretario della Fiom, Maurizio Landini, secondo il qualee un’intervento statale può rivelarsi una scelta positiva solo se improntata al futuro. La questione è particolarmente delicata, a suo avviso, per due motivi: “Un assetto proprietario privato che non ha funzionato, ma ha creato dei problemi e il fatto che non possiamo ripetere l’esperienza Alitalia“. Due elementi che il governo deve analizzare a fondo, a suo parere e dai quali deve prendere spunto per non ricadere negli errori del passato. Il primo timore del rappresentante delle tute blu della Cgil è in ogni caso quello di una svendita, magari all’estero, del colosso dell’acciaio tarantino: “Non possiamo pensare – ha aggiunto – di scaricare sulla collettività i debiti di una situazione o di vendere al primo gruppo straniero, di fatto regalando l’azienda. In questo senso io penso che un intervento pubblico significhi avere manager seri, fare investimenti, recuperare soldi portati all’estero e determinare le condizioni di un accordo internazionale che non sia una svendita”. E non dev’essere stato confortante l’eco delle parole di Maurizio Lupi che da Bruxelles ha tenuto a dire che “rinazionalizzazione mi sembra una bruttissima parola e non la condivido” e “mi fa venire la pelle d’oca. Non credo che ci sia bisogno di tornare a un processo di rinazionalizzazione”, ha detto il ministro delle Infrastrutture spiegando che il governo pensa “a un piano industriale di rilancio, come per Alitalia” per cui individuare ”eccellenze e partner italiani e internazionali”.

Intanto le segreterie locali di Fi, Fiom e Uilm hanno annunciato lo stato d’agitazione per chiedere al governo il pagamento degli stipendi, compreso il “premio di risultato”. Una decisione “non più rinviabile – hanno spiegato le sigle sindacali – nei confronti del governo, che coinvolga tutti gli stabilimenti del gruppo”. Le preoccupazioni dei sindacati riguardano “gli annunci del governo che non si traducono in azioni concrete. Non siamo disponibili ad assistere ad un percorso che tiene i lavoratori, un’intera città, il più grande stabilimento siderurgico d’Europa e la sua filiera appesi ad un filo“.