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Farnesina, immobili all’estero affittati a basso costo e senza gara

Il patrimonio del Ministero degli Esteri conta 297 immobili ma solo una cinquantina sono in affitto. Si tratta di soluzioni di lusso nelle più importanti metropoli del mondo, spesso assegnate senza gara a canoni irrisori, a volte a vantaggio di inquilini “originali”: dal pronipote di Galeazzo Ciano ai discendenti dell’inventore di Tex Willer. E lo stato incassa un magro bottino

C’è un Paese dove le cattedrali vengono via a meno di una fotocopiatrice, i circoli culturali si trasformano in ristoranti, i palazzi storici sono affittati al valore di un trilocale. E l’affitto per lo spazio di un “palo telefonico” rende più di un intero stabile. Quel Paese è l’Italia all’estero. Sono tutte perle della gestione del patrimonio immobiliare dello Stato affidato alla Farnesina, dove tanti fanno un buon affare e lo Stato quasi mai: è infatti di soli 1,2 milioni di euro l’anno l’incasso di 61 canoni di concessione in giro per il mondo affidati alla diplomazia nostrana, metà dei quali è garantita da un solo contratto stipulato con un ospedale di Istanbul ristrutturato con soldi dello Stato Italiano. Gli altri 60 hanno canoni generalmente molto bassi, se non irrisori, spesso a vantaggio di inquilini “originali”. L’elenco è sul sito del Ministero degli Esteri. A prima vista nulla di strano, una perlustrazione più approfondita rivela le tante occasioni dell’Immobiliare Farnesina.

Dal pronipote di Galeazzo Ciano ai discendenti dell’inventore di Tex Willer

A Washington una società per azioni, tal Italian Food & Beverage Inc., ha ottenuto in concessione 170 metri quadrati nel cuore del quartiere diplomatico per appena 300 euro mensili, l’equivalente di un box. E’ un ampio salone rivestito da una cupola di vetro all’interno dell’ambasciata, in un edificio “vagamente neoclassico” rivestito di “mattoni rosa di Asiago”, come recita il sito istituzionale. Per quanto stracciato, l’affitto non basta a garantire buoni affari: nel punto di ristoro dei diplomatici, fanno sapere dall’amministrazione, “si sono avvicendate tre gestioni diverse in poco tempo”.

Dopo 80 anni il Regno d’Albania ha un’enclave a Tirana, dove l’ambasciata ha permesso alla Ciano Trading di Livorno la costruzione di un prefabbricato di 115 metri quadrati all’intero del compound diplomatico, riscuotendo in cambio 150 euro al mese. Il nome suona familiare? Forse perché la società è di Massimo Ciano, nipote del gerarca Gian Galeazzo – già diplomatico e ministro degli Esteri – che nel 1939 conquistò l’Albania con le armi. Il discendente ai cannoni ha preferito i cannoli. La concessione l’ha ottenuta senza alcuna gara pubblica. Anche qui l’affitto è molto basso, ma la clientela potenziale è di appena 50 clienti al giorno, quanti sono i dipendenti dell’ambasciata. La storia però si ripete: neanche la spedizione albanese del nipote di Ciano si è conclusa bene: “Abbiamo sostituito il bar con una macchinetta del caffè”, fanno sapere dall’ambasciata.

Ma è un caso questo guazzabuglio di contratti e beneficiari? A consentire certe “stranezze”, nei canoni come nei beneficiari, è la legge che dal 2005 regola la concessione di beni demaniali che limita l’obbligo di una gara pubblica ai soli canoni superiore a 50mila euro l’anno. Per tutto il resto è sufficiente la perizia di un’agenzia immobiliare scelta a discrezione dell’ente pubblico che, ottenuto il nulla osta da Roma, può procedere a trattativa privata o a invito. Nel caso della Farnesina, i canoni sotto soglia sono 60 casi su 61. E così, nelle maglie larghe degli affidamenti diretti, tutto può succedere.

Tra i pezzi pregiati c’è ad esempio Palazzo del Bulacco, una villa neoclassica ad Alessandria d’Egitto: sorge in piazza Saad Zaghloul a due passi dal mare, dove un tempo Cleopatra VII fece costruire il Caesarum. Qui, nel cuore della seconda città del Paese, dove un tempo svettava il tricolore del consolato sventola lo stemma di Intesa San Paolo. Non è uno scherzo. L’istituto di credito, proprietario della mediorientale Bank of Alexandria, lo scorso luglio ha scelto l’ex rappresentanza diplomatica per il suo quartier generale. L’affitto è di 3.800 euro al mese: un buon affare, considerato che l’immobile di pregio misura 1.300 metri quadrati.

Altro “pezzo grosso” del patrimonio è l’immobile in Avenue France a Teheran di proprietà dell’ambasciata italiana nella Repubblica islamica: 1.685 metri per 20 euro l’anno di affitto. Il prezzo si deve alla destinazione d’uso: l’ambasciata è infatti proprietaria della sola cattedrale di rito latino di tutta l’Iran. Se dentro i confini nazionali è peccato fare pagare Imu e Tasi agli immobili religiosi, fuori si concedono a prezzi irrisori intere chiese: un centesimo di euro l’anno per metro quadrato. I frati cappuccini dell’arcidiocesi di Ispahan ringraziano e, forse, benedicono.

La sede del Circolo degli Italiani a Casablanca è diventata un ristorante

Emblematico è poi il caso del Circolo degli italiani a Casablanca, in Marocco. E’ nato nel 1932 come punto di aggregazione della comunità italiana: caffè, calcio e ciclismo. Ottant’anni dopo l’insegna è sempre quella, ma chi ci mette piede è circondato da tavoli imbanditi e piatti che fanno avanti e indietro dalla cucina. Specialità: baccalà al sale, risotti, tagliate e pizze. Proprio così, il centro culturale è diventato un ristorante. La mutazione, ricostruendo la vicenda, è stata assai travagliata. L’antica concessione era infatti in capo a un’associazione di diritto marocchino che dal 2002 ha affittato gli spazi a tal Massimo Rossi, incassando la differenza tra il modestissimo canone versato all’Ambasciata per “finalità sociali” e quello incassato dal gestore della pizzeria.

Una pratica vietata dai contratti di concessione ma non solo: per anni l’associazione marocchina non ha versato il canone, cumulando 20mila euro di debiti con l’Erario. Solo nel 2012 l’Ambasciata ha revocato la concessione sulla base del presupposto che erano venute meno le finalità sociali. E a chi l’ha passata? Proprio al gestore abusivo, senza gara e a trattativa privata. Oggi la rappresentanza incassa 1.800 euro per 330 metri quadri. “A canone di mercato”, giurano da Casablanca, sottolineando il passo avanti. Basta però  dare un’occhiata ai listini della zona per verificare che un trilocale lì viene affittato a 1.300 euro.

A Praga 183 mq a 5,8 euro a mq. Dentro gli eredi di Bonelli

A Praga l’inquilino dell’appartamento accanto all’Istituto di cultura è il legale rappresentate di Alchymist group, società che gestisce 4 tra alberghi super-lusso e Spa nella capitale ceca. L’azienda è stata creata da Giorgio Bonelli, figlio di Gianluigi, l’inventore di Tex Willer e fondatore dell’omonima casa editrice. Anche qui l’immobile è esclusivo e il prezzo di favore: mille euro lordi per 183 metri quadrati a Malà Strana, il quartiere più ricercato della città boema. Detto altrimenti, sono 5,80 euro al metro quadrato, la metà del valore di mercato. E la metratura non considera giardino e chiostro in condivisione con l’Istituto di cultura. “L’appartamento avrebbe bisogno di una ristrutturazione, per questo pago meno”, spiega l’inquilino. Il caso vuole che sia un architetto quotato, quindi saprebbe come fare, ma nel contratto – stipulato a chiamata, senza bando di evidenza pubblica – non si è pensato di trovare una formula per accompagnare al prezzo di favore qualche impegno di ristrutturazione. La chicca: nella perizia commissionata dall’ambasciata si giustifica il prezzo concorrenziale con la mancanza di un ascensore, ma l’appartamento è al primo piano. Mettere a reddito gli immobili non è proprio la specialità dei diplomatici a Praga: “Abbiamo altri appartamenti, ma sono sfitti”, riferiscono dall’ambasciata.

Oltre agli affitti commerciali, ci sono i poi tanti canoni agevolati destinati ad onlus, associazioni o scuole che offrono servizi agli italiani residenti fuori confine (e voti ai candidati della circoscrizione estero). Ad esempio un doposcuola privato (34 alunni nel 2012) e l’associazione che lo gestisce in centro a Parigi: due locali per un totale di 400 metri a 300 euro lordi al mese. O la potentissima associazione Fediba di Buenos Aires, che custodisce voti e preferenze che hanno permesso a Luigi Pallaro prima e a Ricardo Merlo (gruppo misto) poi di essere eletti in Parlamento.  Affitto corrisposto all’ambasciata? 73 euro e spicci l’anno.

Il rovescio della medaglia, che fa da contraltare ai prezzi stracciati, sono le pretese surreali della burocrazia contabile che nulla perdona e fa pagare ogni centimetro. Letteralmente. Succede al Consolato di Bruxelles, ad esempio, dove la società  Scem-Pvp paga un canone di 400 euro l’anno per l’occupazione di un metro quadrato, giusto lo spazio della cabina dove si fanno le foto da mettere sul passaporto. “La società è autorizzata dagli uffici ministeriali e dall’Ufficio centrale bilancio del Mef e dalla Corte dei Conti”, si premura di spiegare l’Ambasciatore Alfredo Bastianelli.

Ancor più singolare la situazione a Lucerna, dove il Consolato italiano percepisce un canone di 100 euro per permettere all’equivalente svizzero di Telecom di “impiantare un palo telefonico nella proprietà demaniale”. Saremmo ricchi se tanto zelo fosse riservato a tutto il patrimonio finito nelle disponibilità dello Stato grazie ai lasciti di generazioni di emigranti. E non solo a pali, centraline e fotocopiatrici.

Precisazione

Per un mero errore materiale nella prima versione dell’articolo abbiamo confuso Sergio con Giorgio Bonelli, l’altro figlio del fondatore della casa editrice, Gianluigi. Ce ne scusiamo con l’interessato e con i lettori.
Al.Sch. e Th.Mack
Aggiornato il 3 dicembre 2014