Cinema

Torino Film Festival, il lavoro manca dentro e fuori il cinema

Tra una fiaba e un documentario sociale, capita che la strada e lo schermo si mescolino indistintamente da perdersi nelle pieghe di un festival. Sta accadendo al 32° Torino Film Festival, che ha disseminato opere che centrano o sfiorano il tema del lavoro, specie nella deriva della sua mancanza. Emblematica a tal proposito è la commedia agrodolce Mirafiori Lunapark di Stefano Di Polito, prodotta da Mimmo Calopresti. In una modalità fiabesca vi si racconta la rimozione (meta) fisica di quel mondo operaio attraverso il ricordo nostalgico di tre ex operai Fiat (interpretati da Giorgio Colangeli, Alessandro Haber e Antonio Catania) che rocambolescamente “occupano” ciò che resta di Mirafiori e – non trovando più catene di montaggio – vi creano un piccolo Luna Park.

Il regista Di Polito, figlio di operai, ha rielaborato una sorta di autobiografia per rammentare a se stesso e a tutti noi che chi ha vissuto quegli scioperi, quelle lotte sindacali, quella “marcia dei 40 mila” e oggi questa cassa integrazione, si trova spaesato di fronte allo scempio in cui riversa il mondo del lavoro, frammentati in mille falsità contrattuali, precari a vita, ma soprattutto confuso dai fascinosi calembour di marca renziana. L’universo industriale torinese, specie nella sua declinazione automobilistica, è stato il cuore dell’operosità operaia anche d’esportazione, come ben è raccontato dal documentario Togliatti (grad) di Federico Schiavi e Gian Piero Palombini. Vi si descrive il processo di costruzione della colossale città-fabbrica in Urss al centro della steppa russa alla fine degli Anni 60. Il progetto della fabbrica Autovaz univa le economie sovietiche a quelle della Fiat, secondo un’operazione ideologicamente schizofrenica e simbolica in clima di Guerra fredda.

E sempre sui temi lavorativi ha virato quasi interamente la neo sezione Diritti & Rovesci, inventata e curata dall’ex direttore artistico Paolo Virzì, ora guest director. Significativo è stato, a questo proposito, rilevare in che misura due delle cinque opere accorpate nel contenitore del regista livornese siano in grado di dialogare tra loro. Tanto Let’s Go di Antonietta De Lillo quanto Triangle di Costanza Quatriglio elaborano il senso di un “vuoto collettivo” dovuto alla crisi socio-economica che oggi, in qualche modo, può essere ancora riempito grazie alla dignità del singolo. Per la regista napoletana l’incontro con Luca Musella – protagonista del documentario, ex fotografo di successo caduto in disgrazia professionale e umana – ha significato “mostrare sia l’incapacità della collettività verso chi è in difficoltà, chi è caduto, ma anche far vedere quanto il combattimento gentile e la sana consapevolezza (del protagonista, ndr) di sé e del contesto aiutino a rialzarsi e andare avanti”.

In Triangle, invece, il fuoco è centrato sull’asse parallela che lega l’incendio della fabbrica newyorkese Triangle nel 1911 e il crollo dell’edificio fatiscente di un maglificio di Barletta a 2011: cent’anni di distanza e una superstite nella tragedia pugliese, l’operaia tessile Mariella: “Sono la sua forza e la sua dignità profonda a dare un senso a questo vuoto, a restituire la Vita laddove sembra non esserci più neppure la speranza”, spiega la cineasta siciliana. Incroci più reali del reale che trovano spazi a Torino fuori dallo schermo. È cronaca degli ultimi giorni la “misteriosa” sparizione di una dichiarazione di sostegno ai lavoratori della Rear (azienda multiservizi i cui dipendenti lavorano anche per il Museo nazionale del Cinema e il Torino Film Festival) da parte dei Giovani Democratici di Torino, pubblicata il 16 novembre sul loro blog, in cui si esprimeva solidarietà ai lavoratori “forzati, attraverso pressioni e comportamenti antisindacali giudizialmente accertati, ad accettare un contratto collettivo peggiorativo con paghe inferiori ai 5 euro ora lordi”.

Argomenti di evidente complessità politica, dal momento che l’ex presidente della cooperativa di servizi Rear – divenuta popolare per la difesa di Ken Loach del 2011, sfociata nella rinuncia al Gran Premio Torino da parte del regista inglese – è Mauro Laus, oggi presidente del Consiglio Regionale piemontese. Ebbene, i Giovani Dem torinesi hanno rimosso il comunicato, ma per quale motivo? Secondo l’avvocato Luca Cassiani, consigliere comunale e presidente della Commissione Cultura di Torino “È probabile si siano accorti di aver sbagliato ad affrontare una questione così delicata, soprattutto durante lo svolgimento del festival. Tali argomenti vanno gestiti nelle sedi opportune, anche di partito, evitando di strumentalizzare decisioni della magistratura”. E ieri sera, infine, il legale di Luas ha annunciato una querela contro i firmatari del comunicato.

il Fatto Quotidiano, 28 novembre 2014