Società

Corea del Sud, la forza dell’inchino

C’è crisi, bisogna guardare a Est. Direzione Sol Levante, per trovare un raggio di luce. E io ci guardo subito. Un’amica per caso mi ha invitato all’Opera Gala al Conservatorio di Milano. Ingresso gratuito. Ci vado subito. Parterre da grandi occasioni, una prima degna di quella scaligera, sul palcoscenico soprani e tenori coreani che non fanno rimpiangere né la Callas, né Domingo. La sala Verdi del Conservatorio è gremita di eleganti orientali, che mostrano con orgoglio nell’essere lì.

Mi presentano il Console Generale della Corea del Sud, S.E. Chang Jae bok, affabile e pragmatico come solo gli orientali sanno essere (mica fanfaroni come noi). Mi invita due giorni dopo per un lunch d’incontro tra imprenditori coreani e italiani nella bella sede del consolato, nuova di zecca. Ci vado per curiosità. Qui trovo una sorpresa: il relatore nonché presidente dell’Associazione Italia-Corea è Antonio Matarrese, già presidente della Lega Calcio. L’uomo, bisogna riconoscerlo, è istrionico e di rara simpatia. Esordisce: “Vi chiederete come mai anche qui?!”. In realtà me lo chiedo da subito. Si presenta come conoscitore dell’Estremo Oriente; a suo tempo, aiutò ad organizzare i mondiali di calcio che si svolsero in Corea (congiuntamente con il Giappone) e da lì nacque un profondo legame con il paese.

Scopro che un folto gruppo di imprenditori coreani opera da anni in silenzio ma con grande efficacia nel nostro paese. Un gruppo di emigrati che aprirono venti e più anni fa piccole imprese, sono oggi grandi trader. Grandi multinazionali come Samsung, Hyunday, LG, Kia solo per citarne alcune, hanno creato impressionanti strutture commerciali nel nostro paese ed operano in settori che sono tradizionalmente “roba nostra” come la moda, da vere conglomerate, all’uso orientale.

Non a caso il paese ormai da oltre un decennio ha un tasso di crescita a due cifre, mentre noi ci dibattiamo tra decimali di segno negativo o positivo, a seconda dei capricci della Bce. Scopro con la Corea del Sud una nazione determinata, pragmatica, di grandi lavoratori di basso profilo, con la stessa attitudine d’impresa che avevano i nostri nonni, quando erano persone stimate per il loro impegno nel lavoro e detestate se ostentavano esibizionismo.

Tutto questo impone una riflessione. Perché un paese cresce e un altro cala? E’ sempre e solo colpa della “politica”, della “crisi” delle “congiunture”? Siamo tutti innocenti, incompresi e sfortunati? Perché un paese di cui non tutti conoscono la posizione sul mappamondo, produce numeri che ci fanno sentire dei “doppiati” nella nostra corsa al Pil? Fortuna? Congiuntura? O non sarà forse che abbiamo, noi, perso da troppo tempo quel senso di dedizione al lavoro e di umiltà, quella volontà di migliorare attraverso ciò che facciamo tutti i giorni e ci sentiamo tutti in diritto di chiedere anziché di fare?

Di fronte a me c’è un signore minuto, vestito con cura, si inchina. Mi parla quasi sottovoce, timidamente in un buon italiano. E’ il Genaral Manager di una delle più grandi aziende mondiali. Trasporti. I dipendenti si contano a sei cifre. Mi colpisce la sua incredibile modestia. Il tono delicato. Ho incontrato decine di piccoli imprenditori di provincia con attitudini da Alessandro il Grande, ed una sicumera incredibile. Molti, oggi, hanno chiuso l’azienda e venduto le Maserati, le ville al mare e i motoryachts.

I coreani, a capo chino e sottovoce, gliele hanno comperate o hanno preso il loro posto sui mercati. Lo stesso i coreani hanno fatto con i giapponesi, che li trattavano da sempre con altezzosità, come i cugini poveri. Oggi la Corea ha di fatto preso il posto del Giappone sui mercati. Osservo le iniziative del Consolato: contatti commerciali, sviluppo, musica, sport, arte. L’arte sembra la nuova frontiera. Alcuni giovani artisti emergenti della Corea del Sud hanno fatto un ingresso spettacolare nel mondo dell’arte internazionale.

L’Art radar Journal ha appena proposto sei giovani emergenti, tre uomini e tre donne, “pieni di coraggio e di talento” che si stanno facendo notare per le loro sperimentazioni. Hanno fatto furore all’ultima “Burning Down the House”, la decima Biennale di Guangjou di cui ha appena assunto la guida Jessica Morgan, della Tate Modern, insomma, l’Art Basel d’Estremo Oriente. Per anni dominata dall’arte contemporanea cinese. Anche lì i coreani sono maestri dell’immaginazione. Come Jin Joo Chae, conosciuta per i suoi celebrati “Choco Pie works”: pezzi unici e concettuali che realizza utilizzando il cioccolato come inchiostro. Disegnando parole e immagini sulle pagine di quotidiani stampati in Corea del Nord, l’artista tenta di stimolare una riflessione  sulle violazioni dei diritti civili nel paese.  Ma sempre con garbo, sommessamente, ma con straordinaria determinazione.
L’imagination au pouvoir.

twitter @januariapiromal