Politica

M5s e democrazia interna: da Mastrangeli alla Pinna. Tutte le espulsioni

Il primo è stato il senatore del Lazio nel 2013, colpevole di aver partecipato a talk show e programmi tv. Poi a seguire altri 21 parlamentari

Un voto online in meno di 24 ore dopo la sfiducia di un Meetup o la decisione di un’assemblea dei parlamentari. E a volte nemmeno quella. La fenomenologia di un dissidente in casa 5 stelle dura lo spazio di qualche ora. Gli addii, ormai 22 solo in parlamento, hanno scandito la vita del Movimento 5 stelle. Poche ore fa l’uscita di scena di Paola Pinna e Massimo Artini, ma questa volta la ferita rischia di essere più profonda. I deputati hanno cercato di spiegarlo a Grillo, ma lui ha continuato a ripetere: “Va tutto bene, funziona così”. Ecco le regole, forza e debolezza del Movimento: chi le viola esce con dolore, ma poi scompare e non ha possibilità di essere ricordato oltre.

L’escalation di espulsioni parte poche settimane dopo l’ingresso in Parlamento. Tutto comincia con un’intervista a Barbara D’Urso in diretta su canale 5. E’ aprile 2013 e quella volta il viso era di Marino Mastrangeli, senatore M5s del Lazio che resta poco meno di un mese. Dicono che ha violato il codice di comportamento per la troppa voglia di andare in tv. E’ nei talk show, rilascia interviste e dichiarazioni. Viene cacciato con un mezzo plebiscito sul blog. Ma è solo l’inizio. La senatrice emiliana Adele Gambaro in diretta su SkyTg24 dopo il voto per le comunali di maggio 2013 dice che la strategia comunicativa dell’M5s è stata poco efficace per le elezioni. Anche lei espulsa nel giro di pochi giorni. La Gambaro ha tra le altre cose anche la colpa di essere vicina all’ex espulso Giovanni Favia: cresciuta in Emilia, dai vertici non l’hanno mai vista di buon occhio. La seguono poco dopo, anche se spontaneamente, le senatrici Paola De Pin, Fabiola Anitori e il deputato Adriano Zaccagnini. E qui cominciano le accuse: Zaccagnini parla della Casaleggio associati come di un “Berlusconi 2.0” e accusa le modalità poco democratiche all’interno del gruppo.

A febbraio 2014 è la volta dei senatori Luis Alberto Orellana, Francesco Campanella, Fabrizio Bocchino e Lorenzo Battista. Quattro procedure d’espulsione contemporaneamente poco dopo le loro critiche all’incontro tra Grillo e Renzi. L’accusa ufficiale è quella di essere stati sfiduciati dalla base e dai singoli Meetup. Motivazioni contestate con video e interviste agli attivisti, dimostrando soltanto una grande spaccatura sul territorio. Anche qui le repliche sono servite a poco: quattro in un solo colpo hanno lasciato il Movimento. Questa volta però il trauma si portò dietro molte più perdite: un giorno di assemblea tra lacrime e grida e alla fine Maria Mussini, Monica Casaletto, Maurizio Romani, Alessandra Bencini e Laura Bignami fanno un passo indietro. Entrano nel gruppo misto, rassegnano le dimissioni ma verranno tutte respinte. Ora sono divisi tra Movimento X, Sel e Italia lavori in corso, e ancora tra liti e dibattiti non sono riusciti a creare un progetto unico e alternativo al Movimento. Approfittano del caos anche Ivan Catalano e Alessio Tacconi: se ne vanno in polemica, ma in molti accusano le loro scarse restitutioni. Il 2014 poi è fin da subito tormentato: finiscono sotto processo anche Bartolomeo Pepe e Serenella Fucksia. Questa volta Gianroberto Casaleggio frena, si chiarisce con la senatrice ma Pepe il primo aprile lascia di sua spontanea volontà.

Il parlamento perde i pezzi, ma non solo. Le storie di chi se ne va sbattendo la porta e di chi invece si vede ritirato il simbolo sono spesso locali, nascoste tra Regioni e province. Tanto per ricordarne qualcuna, basta tornare in Emilia Romagna. E’ il 2012 e piano piano Grillo e Casaleggio colpiscono alcuni dei personaggi simbolo dei primi successi: a Ferrara Valentino Tavolazzi, a Bologna Federica Salsi e Giovanni Favia e a Forlì Raffaella Pirini. Molto più recentemente ci sono state l’espulsione di Andrea Defranceschi, consigliere regionale condannato dalla Corte dei conti e l’addio volontario di Ivan Camporesi a Rimini in protesta con la gestione dell’ultima campagna elettorale.

In agenda restano poi gli addii annunciati e mai compiuti. C’è Giuseppe Vacciano ad esempio. Non lo ricorda più nessuno, ma il senatore vota Pietro Grasso per la presidenza del Senato appena arrivato in Parlamento. Viene accusato di tradimento e presenta le sue dimissioni: il caso rientra dopo una riunione congiunta, ma è solo l’alba di mesi complicati. Nella penna è rimasta anche la x sul nome di Federico Pizzarotti. Il sindaco di Parma che parla troppo e che non ha spento l’inceneritore è da mesi che potrebbe essere il prossimo a rischiare l’espulsione. Anche se la regola resta sempre quella: serve una violazione del regolamento per bruciarsi da soli. E poi si aprono le votazioni online.