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Spagna, sorella del re Felipe rinviata a giudizio: “Frode al fisco da 5,8 milioni”

Caduta l'ipotesi riciclaggio, secondo i giudici l'infanta Cristina ha speso i soldi pubblici sviati dall’Istituto Nóos e da Aizoon per ristrutturare il palazzo di famiglia, acquistare opere d’arte, fare corsi di salsa e merengue, comprare vestiti, fare viaggi di lusso

L’infanta Cristina di Spagna sarà processata. A stabilirlo i tre magistrati del tribunale di Palma di Maiorca che per la prima volta potrebbero giudicare un membro della monarchia: la sorella di re Felipe VI. Cade l’accusa più grave, quella di riciclaggio, ma restano i due reati contro il fisco, relativi al 2007 e 2008. L’infanta sapeva che “suo marito stava agendo in maniera irregolare con il fisco”, si legge nell’ordinanza di rinvio a giudizio. E’ “innegabile e indiscutibile” il fatto che abbia contribuito “a frodare il fisco” e anche beneficiato di questo “perché i soldi che ha ricevuto Aizoon non sono rimasti sul conto”, continua il dispositivo. La figlia di Juan Carlos e Sofia di Grecia, imputata nel caso Nóos, la fondazione senza scopo di lucro che faceva capo al marito Inaki Urdangarin, finisce alla sbarra.

L’ex infanta Cristina e suo marito il duca di Palma, erano stati infatti incriminati dalla procura per uno scandalo che aveva scosso la famiglia reale: attraverso la Nóos la coppia ha estorto fondi pubblici per un totale di 5,8 milioni di euro che presumibilmente è finita nelle tasche di marito e moglie e del socio, anche lui indagato, Diego Torres. L’indagine, partita nel 2007, ha portato la sorella del re Felipe VI a cambiare residenza, prima a Washington, poi a Ginevra e a non presenziare più agli atti ufficiali dei Borbone. Con l’abdicazione di Juan Carlos, Cristina è stata definitivamente estromessa dalla famiglia reale.

Adesso le ultime speranze dell’infanta stanno tutte in mano al giudice José Castro, che potrebbe applicare la chiamata “dottrina Botin“: una procedura secondo la quale per i reati di evasione fiscale esiste la possibilità di sottrarsi al processo se non è lo stesso Stato a sostenere l’accusa. In questo caso infatti né il Fisco né lo Stato hanno esposto denuncia. A portare avanti il caso c’è solo il sindacato Manos Limpias. La decisione di Castro sarà dunque fondamentale, in quanto inappellabile.

Tra gli argomenti racchiusi nelle 160 pagine, i giudici hanno spiegato che “è facile intuire che se l’infanta sapeva, come ha dichiarato, di aver fondato Aizoon con il marito per canalizzare le sue attività professionali, e, che questa società non aveva una struttura né personale sufficiente per sviluppare le loro attività, e soprattutto , che ha gestito i conti della società con le carte di credito, e che avrebbe dovuto conservare le ricevute per giustificare le spese, avrebbe dovuto pensare come cosa possibile o probabile che, dal momento che Aizoon era una società fittizia, senza personale e struttura propria, il marito stava agendo in maniera illegale nei confronti del ministero del Tesoro”.

Una decisione storica per la Spagna e per le sorti della famiglia reale. Cristina di Borbone, 49 anni e 4 figli, avrebbe speso quei soldi pubblici sviati dall’Istituto Nóos e da Aizoon per ristrutturare il palazzo di famiglia, per acquistare importanti opere d’arte, fare corsi di salsa e merengue, comprare vestiti, fare viaggi di lusso e celebrare sfarzosi compleanni per i figli. L’accusa di riciclaggio rimane quindi a capo del marito di Cristina, don Iñaki Urdangarin, e al socio Diego Torres. I tre giudici che hanno firmato l’ordinanza, spiegano anche come la sorelle di re Felipe VI e la moglie di Torres, Ana María Tejero, abbiano avuto lo stesso ruolo nella vicenda: “Hanno beneficiato delle false società che utilizzavano i mariti per nascondere i profitti”.

@si_ragu