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Moncler, inchiesta Report: perché non metterò più un loro piumino

Ruffini Moncler 540

Non metterò più un piumino Moncler! E dovrebbero fare lo stesso tutti quelli che come me ieri sera erano inchiodati a guardare “Siamo tutte oche”, la magistrale inchiesta di Report della sempre vigile Milena Gabanelli. Ha rischiato di essere “inforcata” da un allevatore di oche in Ungheria la bravissima giornalista Sabrina Giannini mentre indagava sull’illegale pratica della “spiumatura”. Oche blindate come in un lager. Non bisogna essere animalisti per farsi venire la pelle d’oca (ops, pardon per il calambour) nel vedere come vengono strappate le piume, il più veloce possibile, per l’equivalente di 30 centesimi di euro ad animale. Il risultato è: 100% di animali feriti e sanguinanti, il 20% in modo grave con conseguenze letali, dopo lunga agonia. Trattamento crudele al quale vengono sottoposte quattro volte all’anno. Eppure le normative europee vietano una simile atrocità sull’animale. L’Ue consentirebbe l’utilizzo sul mercato di piumino d’oca ricavato solo dalla pettinatura. Figurarsi!

Parte di questo mercato va a riempire giubbini e giacconi Moncler. Remo Ruffini aveva recuperato negli anni 90, una vecchia azienda, Moncler, in tempi lontani fornitrice di alpinisti e maestri di sci, poi simbolo del paninaro anni 80, ma ormai brand in declino. Comasco e testardo, di studiare non ne voleva sapere, diplomato ragioniere, quanto basta per farsi due conti. Con l’aiuto finanziario del fondo Carlyle, la cura Ruffini funziona: il fatturato cresce, lui si quota in borsa, a questo punto si delocalizza. Non produce più in Italia e va in Moldavia, Romania. Ma la vera chicca sta nella Transnistria (giuro non conoscevo l’esistenza), Stato autoproclamatosi facente parte del territorio della Moldavia, dove i giornalisti non sono i benvenuti e i prezzi di produzione ancora più bassi. E la qualità del prodotto pure.

A conti fatti, il risparmio su ogni capo, rispetto alla produzione quando era eseguita in Italia, sarebbe di 30 euro. Risparmio che, su un piumino che in boutique costa intorno ai mille euro, è veramente irrilevante.

Caro Remo, un modesto suggerimento, dopo questa globale figuraccia, ritorna a produrre in Italia, magari ancora un po’ là, in provincia di Lecce, dove dopo il tuo improvviso “abbandono” hanno dovuto licenziare qualche centinaio di operai. Certo hai investito molto sulla seduzione del marchio, sulla pubblicità, d’impatto le foto a doppia pagina sul Corriere della Sera. Splendida la campagna invernale a firma Anne Leibovitz, molto cool. Oggi vesti Madonna, Carolina di Monaco e altre celebrity, sorridi soddisfatto dal tuo chalet di Sankt Moritz sul patinato AD. Ma non credi che un prodotto di lusso viva anche della sua dignità d’origine?

Prendi esempio da Brunello Cucinelli (lui non si è sottratto alle domande della Giannini) e alla faccia del made in Italy produce tutto in Italia, le ragazze fresche di assunzioni sono fiere di fare le sarte, si accontenta di un profitto di un 9% e i suoi azionisti sono più che soddisfatti. Leggo invece su  “Investire Oggi”, che hai chiuso il 2013 in forte crescita di fatturato e utile. Per l’esattezza la società dei piumini Moncler ha chiuso il 2013 con un utile netto normalizzato in crescita del 17% a 96,3 milioni di euro, grazie a un fatturato anch’esso cresciuto del 19% a 580,6 milioni. Il tutto Made in Moldavia. Quasi quasi preferisco il “pataccato” Moncler di piume sintetiche.

P.S. E pensare che avevo simpatia per l’Ungheria, se non altro per aver dato i natali alla protagonista del “Il sacrificio di Eva Izsak” (ChiareLettere). Neanche se mr. Moncler mettesse una copia nella tasca di ogni giaccone si rigonfierebbe!

twitter@januariapiromal