Cronaca

Antonio Rosati arrestato: ex presidente del Varese, in politica al fianco di Maroni

L'imprenditore, insieme ad un ex giocatore della Juve e ad altre sei persone, arrestato con l'accusa di associazione per delinquere finalizzata alla frode fiscale. Tramite il consorzio “Expojob” avrebbe sottratto 250 milioni di euro al Fisco, grazie all’emissione e l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti

Un ex calciatore. Ma soprattutto un imprenditore con la passione per il calcio e la politica (tanto da candidarsi nel 2013 alle regionali lombarde in una lista d’appoggio al leghista Roberto Maroni). Entrambi arrestati. L’accusa? Associazione per delinquere finalizzata alla frode fiscale. Bruno Limido, un passato da centrocampista nella Juventus, nel Varese e nell’Avellino, i campi da calcio li ha abbandonati da un pezzo. Adesso, l’unico campo di ‘gioco’ era quello della logistica, dei trasporti e del facchinaggio. Insieme all’ex vicepresidente del Genoa Antonio Rosati (e all’ex amministratore delegato del Varese calcio Enzo Montemurro) aveva infatti dato vita a una ragnatela di cooperative che faceva capo al consorzio “Expojob”, che secondo la Procura di Milano avrebbe sottratto 250 milioni di euro alle casse del Fisco, grazie all’emissione e l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti. Per questo, da stamani, i tre si trovano in carcere insieme ad altre cinque persone, tutti dipendenti e amministratori. Come detto, l’accusa – a vario titolo – è di associazione a delinquere finalizzata alla frode fiscale. Le indagini del Nucleo tributario della Guardia di Finanza, coordinate dal pm Carlo Nocerino, hanno portato al sequestro preventivo di beni che ammontano a 63 milioni di euro e ricostruito la catena di comando del consorzio, diventato nel frattempo una spa specializzata nella gestione di insediamenti logistici ed industriali.

Secondo l’accusa, il dominus del sistema era Rosati. Una vita passata nel calcio la sua, a colpi di scalate in società medio piccole. L’imprenditore nel settore turistico e nautico di Santa Margherita Ligure inizia venti anni fa con la Pro Vercelli, prima di passare alla guida del Varese. Sotto la sua guida, il club biancorosso balza dalla C2 alla B e sfiora due volte la promozione nella massima serie. Il salto tra i grandi arriva però nel luglio 2013, quando lascia il suoi gioiellino per entrare a far parte della corte di Preziosi, diventando numero due del Genoa. Ma il feeling tra i due non decolla mai, e Rosati se ne va sbattendo la porta a novembre dello stesso anno.

Nel marzo scorso il suo nome spunta in un’inchiesta dell’antimafia milanese contro la banca della ‘ndrangheta in Lombardia (leggi). L’imprenditore – secondo i giudici – era entrato in affari con il gruppo di Giuseppe Pensabene, considerato capo della locale di Desio, “per compiere alcune speculazioni edilizie”. L’ex presidente del Varese Calcio viene avvicinato nel 2012 da Pensabene. E alla fine, dopo minacce e intimidazioni mai denunciate, si trova costretto a cedere alcuni appartamenti al gruppo, per far fronte a un debito contratto da un altro imprenditore con gli uomini della locale. Rosati, che non risulta coinvolto nelle indagini dell’antimafia milanese, sostiene di “non aver mai avuto niente a che fare con persone legate alla criminalità organizzata”. Quest’estate l’ultimo tentativo di scalata. L’imprenditore partecipa all’asta per mettere le mani sul Bari calcio. Ma l’ex arbitro Gianluca Paparesta sbaraglia la concorrenza.

Oggi arriva il carcere. A quanto risulta agli investigatori, infatti, l’imprenditore ligure rivestiva il ruolo di amministratore di fatto di “Expojob”. Stesso ruolo ricoperto dal 53enne varesino Limido, che agli inizi degli anni ’80 ha indossato per una stagione (non memorabile) la maglia della Vecchia Signora, prima di essere ceduto all’Atalanta e poi al Lecce. All’interno del consorzio, secondo la Guardia di Finanza, era lui a fungere da mediatore. La tattica per frodare il fisco, a detta degli inquirenti, era “articolata”. In sostanza, il consorzio riusciva a fare concorrenza alle ditte private e a vincere appalti a prezzi bassi nei settori della logistica, del facchinaggio, del trasporto su strada e nei servizi alle imprese. Questo era possibile grazie al fatto che la decina di cooperative, a cui faceva capo, non versavano né imposte né i contributi ai propri dipendenti. Gli arresti di oggi sono l’epilogo di un’inchiesta nata dopo l’impulso di 11 funzionari dell’antifrode dell’Agenzia delle Entrate. Sviluppata, spiega una nota delle Fiamme Gialle, “attraverso un modello investigativo sperimentale, promosso dalla Procura di Milano” contro l’evasione. E che è stata possibile grazie all’aiuto “dell’Inps e della Direzione Territoriale del Lavoro”.