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Fca sbarca a Wall Street tra “exit tax” all’Italia e dubbi sull’indebitamento

Il titolo sostituisce lo storico marchio Fiat e archivia la prima seduta sul listino di New York con una perdita dell'1%. Gli investitori dovranno fare i conti con la scarsa contendibilità legata all'aumento del peso di Exor, che grazie alle azioni a voto speciale controlla ora il 46% dei diritti di voto a fronte di una quota nel capitale pari al 30%. Pesa anche l'elevato indebitamento che potrebbe comportare la necessità di una ricapitalizzazione

L’addio a Torino dopo 115 anni di storia, con contestuale sbarco del titolo a Wall Street, non sarà a costo zero. Ma a conti fatti sarà un’operazione conveniente per Fiat Chrysler Automobiles, che nasce dalle nozze fra il Lingotto e il gruppo statunitense. Per separarsi dall’Italia, trasferendo all’estero la sede legale ad Amsterdam e quella operativa a Londra, la casa automobilistica prevede infatti di dover pagare una “exit tax”. Una sorta di tassa d’uscita dal Paese, “pari al 27% del valore di asset, brevetti e marchi che lasciano l’Italia”. In compenso, come si legge nel prospetto informativo di Fca, la società guidata da Sergio Marchionne “si attende che le plusvalenze fiscali che emergeranno siano largamente compensate dalla presenza di perdite fiscali all’interno del gruppo”. Insomma, dire addio alla sede italiana non sarà né doloroso né complicato. Discorso diverso, invece, per gli impianti di produzione nei quali “il gruppo deve rispettare determinate procedure in relazione al ridimensionamento o alla chiusura di stabilimenti (…) limitando la propria capacità di ridurre i costi in maniera rapida a fronte di cambiamenti nelle condizioni di mercato”. Insomma, i sindacati italiani rimarranno una spina nel fianco per Fca che potrebbe anche subire “effetti negativi” dall’uscita di scena di “talune figure chiave nell’ambito del management” come ad esempio Marchionne, noto per la linea dura tenuta con le organizzazioni di categoria. 

In attesa di un cambio ai vertici che non arriverà prima del 2018, gli investitori dovranno imparare ad andare d’accordo sia con il manager canadese che con gli Agnelli, titolari via Exor del 30% di Fca con una partecipazione che, secondo quando dichiarato dal presidente, John Elkann, potrebbe in futuro anche scendere. Grazie al meccanismo del voto speciale previsto dal diritto olandese e considerata la quota di recesso, alla famiglia farà infatti capo il 46% dei diritti di voto della nuova casa automobilistica. Secondo il documento informativo questo sistema “potrebbe prevenire o scoraggiare le iniziative degli azionisti volte al cambiamento del management di FCA”. Ma “l’implementazione del Meccanismo di Voto Speciale potrebbe ridurre la liquidità ed incidere negativamente sui prezzi di negoziazione delle azioni ordinarie FCA”. Detta in altri termini, il sistema rischia di deprimere il titolo in Borsa perché la società sarà difficilmente contendibile. E anche l’operato dei suoi amministratori sarà sempre meno discutibile dal momento che per convocare un’assemblea, d’ora in poi, non basterà più il 5% del capitale, ma bisognerà racimolare almeno il 10 per cento. Lunedì Fca ha debuttato sulla Borsa di New York lasciando sul terreno l’1%, mentre a Piazza Affari ha segnato un progresso dell’1,2%.

La contendibilità del gruppo non sarà la sola preoccupazione per gli investitori di Fca. Nel prospetto viene indicato anche un rischio legato all’elevato indebitamento in un contesto di forti investimenti (50 miliardi) per realizzare un ambizioso piano 2014-2018. “Per quanto il gruppo abbia posto in essere misure volte ad assicurare che siano mantenuti livelli adeguati di capitale circolante e di liquidità, eventuali contrazioni nei volumi di vendita potrebbero avere un impatto negativo sulla capacità delle attività operative del gruppo di generare cassa – si legge nel documento – il livello di indebitamento del gruppo potrebbe avere importanti conseguenze sulle attività e sui risultati economico/finanziari”.

Non certo un argomento secondario nel momento in cui Fca si prepara a sborsare 416,6 milioni per ricomprare le azioni di soci che hanno esercitato il diritto di recesso. Ecco perché Marchionne, assieme al direttore finanziario, Richard Palmer, ha già programmato a novembre un tour negli Stati Uniti per convincere gli investitori istituzionali a mettere i soldi su Fca nella speranza di evitare un aumento di capitale. Ricapitalizzazione che, secondo il Sole24Ore, sarebbe già in discussione nel primo cda in programma il 29 ottobre. A Londra, naturalmente dove si terrà d’ora in poi la “la maggior parte delle riunioni del suo consiglio di amministrazione”. 

@FiorinaCapozzi