Musica

Pink Floyd, ‘The Endless River’: una ‘truffa’ ai danni dei fan

I Pink Floyd sono la più grande band mai esistita sul pianeta terra: prendiamolo e mettiamolo da parte. E diamo anche per scontato che molti di coloro che ne parlano o si prostrano di fronte alla loro arte lo facciano per “pro forma” anziché consapevolmente: buona parte di questi compreranno il ‘nuovo’ The Endless River giudicandolo sin da ora – e senza alcun elemento a loro supporto – se non il disco del decennio, almeno il migliore del 2014.

Certamente, ‘non’ un disco dei Pink Floyd: che avevano smesso di essere tali almeno dai tempi di The Final Cut (1983), a tutti gli effetti il primo disco solista di Roger Waters. Da lì in poi solo una lunga e sofferta battaglia legale autorizzerà Gilmour, Mason e Wright (scomparso nel 2008) ad utilizzare il moniker della band, realizzando due album (A Momentary Lapse Of Reason e The Division Bell) che fatta eccezione per qualche perla davvero rara hanno messo a dura prova la noia e la pazienza anche dei più ortodossi: a maggior ragione la mia.

I Pink Floyd senza Roger Waters, che pure erano riusciti ad andare oltre il genio di Barrett, sono una riedizione malconcia dei fasti del passato: un rock d’atmosfera molto sgangherato che strizza l’occhio – e non poco – alle sonorità degli anni ’80 senza mai sbirciare dal buco della serratura dei ’90. 

Ed è proprio in quegli anni, complice una vena creativa senza precedenti, che i tre “superstiti” decidono di lavorare ad un progetto parallelo, proposto ma completamente ignorato dalle case discografiche dell’epoca, che pure avevano contribuito – facendo carte false – a mantenere in vita una band morta, clinicamente, almeno dieci anni prima.

The Endless River, in uscita il 10 Novembre prossimo, è un album quasi totalmente strumentale, diviso in 4 ‘facciate’ che contano 18 brani in totale: “un canto del cigno per l’amico Richard Wright”, dichiara Gilmour, che pure è ben a conoscenza di come il contributo dell’ex amico e collega sia minimale rispetto allo sviluppo dell’intero disco, rimasto fermo per 20 anni e riportato in auge quando questi era già passato a miglior vita da tempo.

Viene da chiedersi cosa ne pensasse veramente Wright di questa operazione, che evidentemente occupava una parte minima e irrilevante dei suoi pensieri: scopriremmo, magari, che non avrebbe voluto trovarla nemmeno sugli scaffali dei negozi di dischi. Senza nulla togliere al fatto che The Endless River possa rivelarsi, cosa non del tutto improbabile, un capolavoro artistico senza precedenti: un disco che forse, per arrivare all’attenzione dei più, non aveva bisogno di vivere sull’onda lunga di quello che è stato e che mai più si è ripetuto.

Purtroppo anche i Pink Floyd – anzi, quelli che noi “siamo costretti a chiamare tali” – sembrano aver contratto la stessa malattia (o sindrome) dell’eterno ritorno che ha colto prima di loro tanti illustri colleghi: pensiamo allo scempio compiuto in queste settimane dai restanti membri dei Queen, che continuano a rovistare con un certo froutterismo nel cassonetto dei brani cestinati o già proposti dal povero Freddie Mercury, che mai avrebbe voluto finire così.

A Brian May e Roger Taylor, rispettivamente chitarra e batteria della “regina”, va anche il plauso per aver non solo pubblicato assieme a Paul Rodgers (Free, Bad Company) The Cosmos Rocks (la “cloaca massima” del rock degli ultimi anni) ma anche, sopratutto, per aver continuato a portare in giro il repertorio dei Queen circondandosi di vocalist tra i meno proponibili: ora è il turno – e lo sarà anche in Italia con un’unica data – di Adam Lambert, ciuffo ribelle uscito (secondo) dall’ottava edizione di American Idol.

E viene da chiedersi se per la felicità dei fan alle volte non sarebbe meglio intraprendere strade più che alternative quasi obbligate dal senso della decenza, molto spesso latitante: quanto sollievo proveremmo oggigiorno se i Guns N’ Roses, i Deep Purple, i Queen, i Pink Floyd, i Sepultura, gli Alice In Chains, i Led Zeppelin, gli Who – e chi più ne ha più ne metta – avessero smesso di chiamarsi “così”, col loro legittimo nome, già dall’epoca in cui tutto questo non sarebbe suonato così maledettamente sbagliato? A tutti gli altri va invece il ringraziamento di essere rimasti fedeli ad un’idea di vita che mi rende invece ancora orgoglioso di ascoltarli, senza provare quel latente senso di ingiustizia che spesso mi toglie se non il respiro almeno l’innocenza tipica di chi vuole solo vivere l’ebrezza di un disco. Niente più.