Società

Palestina, diario di bordo /2: freestyle a Ramallah

“Povera Palestina, prima la guerra e adesso i rapper italiani!”: il commento più velenoso (e forse anche il più divertente) mi passa in mente mentre l’aereo si abbassa su Tel Aviv. Le luci notturne rendono la vista della città incantevole ma rendono ancora più drammatico il contrasto con il buio che vedo estendersi a Sud, dove ad occhio ci dovrebbe essere Gaza.

I dubbi sul senso della nostra presenza in Palestina mi hanno accompagnato durante tutta la preparazione del progetto, inutile nascondervelo. Noi rapper siamo, quasi per definizione, gente che ama stare sul palco e al centro dell’attenzione, e quindi il rischio dell’egotrip è dietro l’angolo.

Ero sicuro che questa esperienza sarebbe stata bellissima per me, ma si sarebbe risolta semplicemente in quello? Hip Hop Smash the Wall è (per citare un gentile commentatore di ieri) la “solita retorica demagogica”? O la nostra musica abbatterà davvero il muro?

La risposta è no, non sono così scemo o supponente da pensarlo. “Non ho mai detto che a canzoni si fan rivoluzioni”, canta uno più bravo di me. Il muro lo abbatterà la gente di questa terra, il dubbio non è se lo farà, ma solo quando.

Quello di cui sono sicuro al 100% è che l’hip hop è già da oggi la colonna sonora di questa lotta, così come lo è di altre, e lo sarà di infinite a seguire. Il rumore del muro che va in pezzi sarà inevitabilmente accompagnato dalle rime e dai beat. E questo è già un ottimo motivo per essere qui a dare il nostro contributo. Ma forse non è il solo.

Sentite questa storia: l’hip hop come strumento di terapia nei casi di disordine da stress post traumatico. L’idea nasce qui in Medio Oriente, precisamente in Iraq e – a quanto mi risulta – è un sergente americano il primo a sperimentarla per provare ad attenuare i terribili postumi di quello che lui stesso chiama “il mio mondo oscuro”.

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Oggi a Gaza, in un contesto totalmente diverso, è stato fatto un grande passo avanti, utilizzando – oltre al rap – anche i graffiti e la break dance, grazie soprattutto ai Camp Breakerz, una delle più importanti crew della Striscia. La differenza, enorme, è che qui non si lavora con veterani induriti come il sergente Jeff Barillaro, che di mestiere stava al mitragliatore di un carro armato, ma con dei teenager sconvolti da quanto è successo alle loro famiglie ed al loro popolo.

Quindi, che dirvi? Oggi ho passato mezza giornata a fare freestyle con degli amici, come spesso mi è capitato in passato. Solo che mi trovo a Ramallah, ed alcuni di questi nuovi amici vengono dai campi profughi più terribili di tutta la Palestina. Penso che andremo avanti fino a tardi, e domattina abbiamo appuntamento in studio di registrazione.