Mondo

Default Argentina: cedere ai diktat di Hedge Fund potrebbe non bastare. Anzi

Molti pensano che la disputa finanziaria tra Mr. Paul Singer, boss dell’Hedge Fund “Elliot Management”, e lo Stato dell’Argentina sia la “solita” querelle tra chi prima sottoscrive debiti e poi non li vuol pagare e chi pensa esclusivamente a far soldi fregandosene se può far del male a tanta gente. Basta leggere i commenti ai molti articoli scritti sull’argomento per rendersene conto subito. Ma è così solo in apparenza. Come ho già accennato nel mio recente post, la disputa è più una battaglia legale tra super-esperti di diritto internazionale che un vero confronto tra qualcuno che vuole esigere un credito e il debitore che non vuole pagare.

Infatti fin da subito Mr. Singer e i suoi “corsari” della speculazione sono entrati nell’operazione “Tango bonds” (come l’hanno poi battezzata) quando già l’Argentina era, o stava per entrare in default (circa 2002), acquistandone grandi quantità a prezzo di svendita dai normali investitori che cercavano in tutta fretta di liberarsene sotto la minaccia di perdere non solo qualche punto di interesse su quelle obbligazioni, ma tutto, cioè capitale e interessi.

Singer però non è un normale investitore, lui non ha paura perché speculare sul debito degli Stati Sovrani è proprio la sua specialità. Il suo schema operativo non è esente da rischi, ma in sintesi è molto semplice:
1. individuare uno Stato sovrano fortemente indebitato e in difficoltà finanziarie.
2. acquistare ingenti quote del suo debito (possibilmente in svendita dagli altri risparmiatori dopo che notizie di stampa hanno suonato l’allarme sul possibile default).
3. agire per vie legali al fine di ottenere il pagamento integrale del capitale e degli interessi originariamente contrattati.

Evidentemente ci sa fare, perché su questo tipo di operazioni, mai di breve durata, ha costruito la sua imponente fortuna. Ma la sua tecnica è inconfondibile e gli argentini, che ormai lo conoscono bene, proprio per questo lo hanno già definito “vulture” (avvoltoio). Lui è un legale a tutti gli effetti, si è laureato alla Harvard Law School ed ha lavorato per qualche anno in studi legali di New York prima di “mettersi in proprio”. Ha quindi tutto il bagaglio tecnico necessario per fare ciò che sta facendo. La sua intraprendenza, la sua ostinazione e la sua totale mancanza di freni inibitori di tipo etico gli hanno poi dato anche quel pizzico di “magia” in più per convincersi che può vincere anche contro i giganti.

Ha un sincero disprezzo per chi non è riuscito a salire la scala sociale, per chi vorrebbe imbrigliare la finanza con troppe regole e per chi non riesce a capirlo. Chi lo conosce lo ha sentito più volte schernire anche pubblicamente (in consessi ristretti però, perché lui non ama confondersi con la plebe) quei “ciarlatani che si rifiutano di obbedire alla regola del mercato” (cioè: nessuna regola, salvo quelle che servono a lui).

E’ dai tempi delle monarchie assolute che non si vedeva più uno così risoluto nel far capire che lui è e gli altri non sono niente. Però sulla sua abilità nel far valere i cavilli legali a suo vantaggio nessuno può dubitare. Se avesse scelto la specializzazione in campo penale sarebbe stato un vero principe del Foro. Anche così però di carriera ne ha fatta tanta. Oltre a racimolare una trentina di miliardi che gestisce accuratamente nel suo Elliot Management Hedge Fund, si può ben dire che a questo punto la corona di re degli avvoltoi gli spetterebbe di diritto.

Dall’altra parte non ci sono certo degli sprovveduti. Il ministro dell’Economia argentino, Axel Kiciloff, certamente non lo è, eppure si è trovato anche lui, e i suoi esperti, invischiato in una rete che non gli ha lasciato scampo: tra l’incudine dei giudici, costretti a sentenziare sul piano giuridico (con leggi sulla finanza speculativa a dir poco “lacunose”), e il martello degli specialisti della speculazione finanziaria (come Singer), che ne sanno una più del diavolo (e forse non è solo un modo di dire).

Perché tra l’incudine e il martello? Perché la verità è che l’Argentina non potrebbe pagare all’Elliot Management Fund di Singer quello che lui pretende nemmeno se accettasse di piegarsi al suo diktat. Ciò a causa della clausola detta “R.U.F.O.” (“Right Upon Future Offers”, ovvero “tutela verso future offerte”) inserita nei contratti di rinegoziazione del debito argentino tra il 2005 e il 2010. Questa clausola consentirebbe a tutti quelli che hanno rinegoziato il debito di chiedere, in caso di migliori condizioni concesse in seguito ad altri, uguale trattamento. Quindi se il governo argentino cedesse alle pretese di Mr. Singer, si troverebbe a dover affrontare la rivolta di tutti gli altri risparmiatori che in precedenza hanno accettato le piu modeste condizioni della rinegoziazione avvenuta, e a quel punto l’importo da rimborsare potrebbe arrivare davvero all’insostenibile cifra di circa 120 miliardi di dollari.

Il ministro dell’Economia argentino Kiciloff aveva già disposto presso una banca di New York circa 500/mln. di dollari per il pagamento degli interessi maturati sui bond dei risparmiatori che avevano rinegoziato le condizioni del prestito. Ma il Fondo Elliot Management non ha mai voluto rinegoziare, lui ha sempre preteso tutto, e il giudice Griesa della Corte Federale di Manhattan gli ha dato ragione, bloccando il pagamento degli interessi agli altri risparmiatori e decretando di fatto (anche se l’Argentina non lo ammette) lo stato di fallimento, che le varie agenzie di rating si sono subito affrettate ad emettere.

E adesso? Nei giorni scorsi sembrava che un consorzio di banche (Citigroup, JPMorgan Chase, HSBC, Deutsche Bank) fossero disposte ad acquistare il pacchetto di titoli della Elliot Management, sciogliendo così il nodo della situazione fallimentare dell’Argentina, perché risolverebbe il contenzioso con gli Hedge Funds e contemporaneamete sbloccherebbe i fondi depositati a New York per il pagamento degli interessi, ma pare che l’inflessibile Singer abbia rifiutato anche questa offerta.

Quindi? Quindi, se l’Argentina fosse costretta (dai cavilli legali azionati da re avvoltoio) al default vero e definitivo ci saranno conseguenze gravi non solo per tutti i creditori dei bond argentini (compreso Elliot Management ovviamente) ma potrebbe essere l’inizio di un catastrofe globale che vedrebbe inevitabilmente molti altri risparmiatori perdere grosse fette dei loro risparmi.

Esagerazione? Mica tanto! Non dimentichiamo infatti che la “Grande Recessione” (non ancora conclusa in termini effettivi) è stata scatenata dalla eccessiva leggerezza degli americani a concedere i mutui sulle case, ma quello era solo il detonatore che ha fatto esplodere la bomba più grande, quella dei derivati finanziari. Dal 2007 ad oggi non si è fatto praticamente nulla di veramente efficace per evitare un’altra crisi. In particolare, si continua a riconoscere tutti i diritti agli speculatori, ma non si fa quasi nulla per difendere quelli dei risparmiatori (specialmente quelli piccoli).

Quindi la crisi ci sarà, è solo questione di tempo (anche il Nobel Stiglitz lancia l’allarme, vedasi “In Hedge Fund, Argentina Finds Relentless Foe”). Il nuovo detonatore potrebbe essere proprio il debito argentino, che trascinerebbe nel default tutti gli altri paesi fortemente indebitati. Stavolta sarebbe una catastrofe irrefrenabile, perché non sarebbero più soltanto le banche a scivolare nel fallimento, ma intere nazioni (e l’Italia sarebbe una delle prime nella fila).

Dallas, Texas