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Ebola, Usa decidono invio di 50 specialisti “per bloccare i contagi in 30 giorni”

L’ospedale Emory di Atlanta, dove il medico Kent Brantly è ricoverato in isolamento, ha ricevuto una serie di mail di protesta contro il fatto che ai pazienti fosse stato permesso di tornare negli States. L’ospedale ha rivolto un appello agli americani a "mostrare compassione". Appello di Obama al coordinamento internazionale. Finora 887 morti e oltre 1600 contagiati

Il virus Ebola spaventa gli Usa. Negli States è psicosi dopo l’arrivo del medico contagiato in Africa e rientrato in patria per essere curato. L’ospedale Emory di Atlanta, dove Kent Brantly è ricoverato in isolamento e dove questa settimana arriverà anche un’altra americana malata, ha ricevuto una serie di mail di protesta contro il fatto che ai pazienti fosse stato permesso di tornare negli States. L’ospedale ha rivolto un appello agli americani a “mostrare compassione“. Intanto è stato deciso l’invio di 50 specialisti nei paesi colpiti da parte degli Stati Uniti. I casi di contagio, fa sapere l’Oms, sono oltre 1600 e il numero dei morti è salito a 887. Nel dettaglio, in Guinea sono morte 358 persone, in Liberia 255, in Sierra Leone 273 e in Nigeria una: dall’ultimo bilancio, pubblicato il 31 luglio, ci sono stati 150 decessi.

Migliora Brantly, appello di Obama: “Agire con coordinamento”. Le condizioni di Brantly stanno migliorando. Secondo l’organizzazione per cui lavora in Africa, Samaritans’ Purse – riporta il ‘Los Angeles Times’ – al medico quando era ancora in Liberia è stato somministrato un siero sperimentale anti-Ebola, che inizialmente il medico aveva ceduto a una collega. Brantley ha ricevuto anche una trasfusione di sangueda un ragazzo 14enne che lui stesso aveva curato prima di ammalarsi. I responsabili dell’ospedale spiegano come ci siano buone speranze di rimettere in sesto Brantly, così come Nancy Writebol, la missionaria americana, originaria dalla North Carolina, che arriverà negli Usa a breve. Ma la voce di chi critica la decisione di riportarli negli Stati Uniti si fa sempre più sentire. “Fermiamo l’ingresso negli Usa dei pazienti di Ebola. Trattiamoli, al massimo livello, ma altrove. Gli Stati Uniti hanno già abbastanza problemi”, aveva twittato il miliardario Donald TrumpIntanto anche il presidente americano, Barack Obama, ha chiesto di “prendere molto seriamente” la situazione di Ebola, lanciando un appello alla comunità internazionale perché agisca in modo coordinato. E annunciando che per massima precauzione, anche i 50 leader africani che arriveranno la prossima settimana a Washington per il vertice Usa-Africa alla Casa Bianca saranno sottoposti a controlli speciali. Così come le tantissime persone al loro seguito. 

Gli Usa inviano 50 specialisti “per bloccare i contagi in 30 giorni”. I Centers for Disease Control and Prevention – anche loro con sede ad Atlanta – gettano acqua sul fuoco, e rassicurano l’opinione pubblica sottolineando che la presenza dei due medici in città non comporta il rischio dell’arrivo di Ebola sul suolo americano. Anche i Cdc sono stati oggetto di mail di protesta e hanno ricevuto un centinaio di chiamate sul ritorno in patria dei due operatori sanitari dall’Africa. “Spero che la nostra comprensibile paura dell’ignoto non prenda il posto della compassione quando operatori sanitari e umanitari malati dovranno tornare negli Usa”, ha affermato sui media americani il direttore dei Cdc, Tom Frieden. Che ha reso noto che 50 specialisti sono in partenza per i Paesi colpiti dal virus nell’Africa occidentale. “Stiamo aumentando la nostra risposta all’emergenza – ha detto alla Abc – ed il modo migliore per proteggerci è fermare la febbre emorragica alla sua fonte. Per questo inviamo sul terreno dei tre Paesi colpiti i nostri esperti con l’obiettivo di bloccare i contagi in 30 giorni”. Ad una domanda sulla chiusura dei confini Usa suggerita da un tweet di Donald Trump per evitare l’Ebola, Frieden ha seccamente commentato: “Non sigilliamo i nostri confini, siamo un Paese responsabile e interdipendente con il resto del mondo”.

Secondo caso in Nigeria, deceduto religioso in Liberia. L’ultima vittima del virus in Liberia è Patrick Nshamdze, religioso dei Fatebenefratelli e direttore del locale nosocomio. Aveva 52 anni e da 23 faceva parte dell’ordine ospedaliero San Giovanni Di Dio. Fra Patrick aveva studiato in Italia e aveva emesso la professione solenne nella chiesa dell’Isola Tiberina di Roma: “Abbiamo lavorato per sei anni insieme a Roma – commenta in una nota fra Marco Fabello, direttore dell’Irccs San Giovanni Di Dio di Brescia – e conservo il ricordo di un uomo generoso. Non mi sorprende che non si sia tirato indietro in questo momento di emergenza – aggiunge – anche se mi addolora averlo perso. Ha voluto star vicino ai malati fino all’ultimo, in una fraternità di spirito e di vita che è il cuore della nostra vocazione”. La Liberia ha ordinato che tutti i corpi delle persone uccise dal virus vengano cremati. La decisione, riporta la Bbc, è stata presa dopo il rifiuto di diverse comunità locali del Paese di seppellire i cadaveri sul proprio territorio. Tra le altre misure prese in queste ore, l’obbligo per i negozi di installare lavandini per lavarsi le mani. Intanto le autorità nigeriane hanno annunciato un secondo caso nel Paese: si tratta di un medico che assistette Patrick Sawyer, il funzionario americano dell’ambasciata in Liberia morto a luglio dopo l’arrivo a Lagos. Altre 70 persone entrate in contatto con il medico sono in stato di osservazione, otto in quarantena, tre dei quali mostrano sintomi compatibili con il virus: oggi si conosceranno i risultati delle analisi.