Economia & Lobby

Spending review: fare bene i tagli per farne meno

Se si vuole evitare di sottoporre un paese allo stremo a una cura da cavallo, il Governo ha una sola strada a disposizione: portare a termine almeno una riforma strutturale entro ottobre. E per farlo, può usare la Legge di stabilità per una profonda razionalizzazione della spesa pubblica.

di Tito Boeri* e Massimo Bordignon** (lavoce.info)

Verso la legge di stabilità

Non passa settimana senza che questa venga annunciata come decisiva per il Governo. E certo un Governo ambizioso, che ha fatto molte promesse, ha di fronte a sé costantemente sfide impegnative. Ma ce n’è una più impegnativa di tutte e riguarda la Legge di stabilità per il 2015. Allo stato attuale potrebbe occorrere una manovra da quasi 25 miliardi per evitare di incorrere nelle procedure per il disavanzo eccessivo. L’unico modo per evitarle è varare entro ottobre una vera riforma strutturale. Ci permetterebbe di invocare la clausola delle riforme. Ma nonostante i tanti annunci, nessuna riforma è pronta. Meglio allora fare di necessità virtù, presentando come tale una Legge di stabilità che operi una profonda ristrutturazione della spesa pubblica, senza lasciare fuori nessuno dei capitoli principali, compresi i fondi europei.
Solo dopo l’adozione da parte dell’Istat delle nuove regole di contabilità nazionale avremo un’idea precisa dell’entità della manovra richiesta al nostro paese nel 2015 per rispettare i vincoli europei. Allo stato attuale sembrano necessari fino a 25 miliardi di aggiustamento: 10 per trovare coperture permanenti ai tagli alle tasse (bonus di 80 euro) varati a partire dal maggio di quest’anno; 12 per coprire la differenza fra il disavanzo strutturale (al netto delle una tantum) che avremo in assenza di aggiustamento nel 2015, come indicato dalla Commissione europea, e per coprire altre spese indifferibili; e altri 3,5 per evitare lo scatto della clausola di salvaguardia posta dal Governo Letta, che in assenza di tagli di spesa porterà automaticamente a inasprimenti d’imposta. Qualche piccolo margine per ridurre l’entità dell’aggiustamento può arrivare dalla minor spesa per interessi rispetto al preventivato (attorno ai 2 miliardi) e dal fatto che per i vincoli europei conta il disavanzo strutturale, quindi il deficit può essere più elevato se l’economia peggiora. Ma si tratta comunque di variazioni piccole e l’andamento peggiore del previsto dell’economia ci pone già problemi per i saldi del 2014. (1) 
Dove trovare i soldi? Aumentare le imposte è improponibile; riuscire a operare 20-25 miliardi di tagli alla spesa in un solo anno è molto difficile, benché il Def 2014 indichi ancora in 17 miliardi i tagli previsti nel 2015. E anche se ci si riuscisse, non è auspicabile un aggiustamento di un punto e mezzo di Pil in un’economia esangue, che sa solo passare da recessione a stagnazione. È d’altronde ridicolo continuare a chiedere flessibilità alla Commissione. Le regole ci consentono flessibilità solo se, prima di presentare la manovra di bilancio, riusciamo a documentare di aver fatto qualche riforma, nel senso pieno della parola, vale a dire compresi i decreti attuativi. Infine, ignorare i vincoli europei è molto rischioso per la valutazione che ne potrebbero dare i mercati, ancor più che per le sanzioni previste in questi casi.

Abbiamo qualche riforma pronta?

Purtroppo, il Governo Renzi è molto in ritardo nella sua ambiziosa agenda. Molte delle riforme annunciate esistono per ora solo in powerpoint. Si è parlato di una riforma della Paper un mese prima di vedere un articolato e scoprire che si trattava solo di un disegno di legge delega con principi molto generali. La riforma del lavoro, la cui discussione in Parlamento è stata rimandata a settembre, è anch’essa un disegno di legge delega talmente generico che la maggioranza litiga aspramente sulla sua interpretazione. Per di più, molte delle proposte del Governo sembrano aumentare più che ridurre le spese. È il caso del pensionamento anticipato a 62 anni senza penalizzazioni dei dipendenti pubblici o della “riforma del terzo settore” che aumenterà le agevolazioni fiscali per l’impresa sociale. E si potrebbe continuare. Insomma, l’esecutivo allo stato attuale non ha alcuna riforma strutturale pronta da portare al tavolo europeo. E certo non può essere quella del Senato, comunque solo alle battute iniziali, a prendere il posto delle riforme economiche strutturali.

Fare di necessità virtù

A questo punto, l’unica strada percorribile è quella di rendere la Legge di stabilità una riforma strutturale … della spesa pubblica. Dopotutto, quale migliore riforma in questo momento di una ristrutturazione profonda della spesa? Perché sia tale, bisogna che però siano soddisfatte alcune condizioni.

Primo, deve essere un intervento omnicomprensivo. Alla spending review del commissario Cottarelli sono state sottratte pensioni e sanità, ma è impensabile che interventi significativi sulla spesa pubblica possano essere ottenuti escludendo a priori voci che assieme contano per oltre il 40 per cento del totale. Si noti che razionalizzare non vuol dire solo tagliare, ma anche spendere meglio e ridurre le iniquità dei trattamenti in vigore.
Secondo, non può essere affidata solo a interventi sulle partecipate comunali, sulle centrali d’acquisto o sui fabbisogni standard degli enti territoriali di governo. Tutti interventi potenzialmente utili, ma chiaramente insufficienti allo scopo. Se fatti bene, richiedono tempo per portare a casa risparmi significativi, se fatti male, solo per far cassa, rischiano di creare solo ulteriori problemi.
Terzo, bisogna ricontrattare a Bruxelles il finanziamento dei fondi strutturali europei. Non solo il co-finanziamento nazionale, ma l’intero meccanismo andrebbe rivisto. Quei soldi potrebbero essere spesi molto meglio o, meglio ancora, risparmiati. Il partito di coloro che vivono di fondi strutturali continua a sostenere che è troppo tardi per misure di questo tipo. Ma non è mai troppo tardi per ridurre gli sprechi.

(1) Il Def prevede per il 2014 un indebitamento netto sul Pil al 2,6 per cento dal Def, ma è probabile che il Pil nominale cresca di almeno un punto in meno rispetto alle stime del Def, e questo si traduce automaticamente in circa mezzo punto di Pil in meno di entrate.

Ph.D. in Economia alla New York University, per 10 anni è stato senior economist all’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, poi consulente del Fondo Monetario Internazionale, della Banca Mondiale, della Commissione Europea e dell’Ufficio Internazionale del Lavoro. Oggi è professore ordinario all’Università Bocconi, dove è anche prorettore alla Ricerca, e Centennial Professor alla London School of Economics. E’ Direttore della Fondazione Rodolfo Debenedetti, responsabile scientifico del festival dell’economia di Trento e collabora con La Repubblica. I suoi saggi e articoli possono essere letti su www.igier.uni-bocconi.it. Redattore de lavoce.info. Segui @Tboeri su Twitter 

** Si è laureato in Filosofia a Firenze e ha svolto studi di economia nel Regno Unito (MA, Essex; PhD, Warwick). Si occupa prevalentemente di temi di economia pubblica. Ha insegnato nelle Università di Birmingham, Bergamo, Brescia, Venezia e all’Universita Cattolica di Milano. Attualmente è professore ordinario di Scienza delle Finanze presso quest’ultima Università, dove dirige anche l’Istituto di Economia e Finanza e la Doctoral School in Public Economics. Ha svolto e svolge tuttora attività di consulenza per enti pubblici nazionali e internazionali ed è stato membro di numerose commissioni governative, compresa la Commissione sulla Finanza Pubblica presso il Ministero del Tesoro nel 2007-8. Redattore de lavoce.info