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Cronache dal Niger: Fratelli (e sorelle) d’Italia. L’inno a Niamey

Janine lavora a Roma. Si trova a Niamey per organizzare il ritorno del corpo di suo fratello. Deceduto da pochi giorni in città per un infarto sua madre lo vuole accanto. Torna nel Camerun perché sua madre desidera vederlo prima della sepoltura. Janine passa a salutare perché le piace l’italiano. Qui non ha nessuno per parlarlo. In Italia ha cambiato alcuni lavori e si era scoraggiata. Dopo un mese era ritornata a casa. L’hanno spinta a non abbandonare il tentativo. All’inizio la ditta le sconsigliava di mettere il cartellino di riconoscimento. Avrebbe potuto avere delle noie con la gente. Acqua passata ormai. Parla bene l’italiano ed è contenta di abitare a Roma. A Napoli si sente ancora più a suo agio. La gente si saluta e le sembra di non essere lontana. Poi ha scoperto che coi vicini fa buon vivere a Roma. Si è nominata ambasciatrice del paese e della lingua italiana che ama.

Solo gli occhi che hanno pianto possono ridere bene. Ma non è detto che vogliano vedere. Qui da noi sembra che la gente non voglia vedere, siamo tutti uguali eppure i diritti non sono gli stessi e chi ha gli occhi non sempre li usa , anzi nasconde facendo finta di nulla. Io soffro questa cosa, la vorrei combattere, una volta che una cosa la sai e la vedi non puoi più tirarti indietro, devi voler combattere per vincere, non perché qualcuno debba perdere ma solo per affermare la giustizia… (Tati)

Lei lavora in Centro Storico a Genova. Il servizio delle pulizie vi opera le 24 ore e tutti i giorni della settimana. Guida il raccoglitore di rifiuti sfiorando gli spigoli dei vicoli. Fa il suo lavoro come fosse il primo e l’unico giorno per pulire il mondo. E’ contenta per quello che lascia dietro di sé. Lastricati e piazzette che conservano i nomi di altre epoche. La piazza dello amor perfetto e il vico del santo sepolcro si sposano alla chiesa delle vigne. La cerimonia si fa il sabato ma a volte anche la domenica. Rimangono grani di riso per i piccioni che si moltiplicano secondo il precetto biblico. A poco o nulla servono le ordinanze municipali che vietano di nutrirli. Come quando si impongono vestiti decenti alle ragazze dei vicoli in cerca di clienti. In vico degli angeli si trovano le sudamericane dei mondiali. In via della Maddalena invece sono stazionate le nigeriane

Ti voglio raccontare una mia piccola storia. Il medico che mi seguiva mi ripeteva di non metterci troppo su il cuore sulla creatura che attendevo. Io gli ridevo in faccia. Il cuore ce l’avevo messo su ancor prima di essere incinta, quando avevo deciso che volevo diventare madre. Sono stata molto a letto e ho avuto modo di pensare. Volevo con calma scegliere un nome meraviglioso, anche perché non credevo che avrei trovato altre occasioni. Lo volevo speciale e che esprimesse la mia ideologia, ma che non fosse pesante da portare. Quando ho sentito (non so dirti con quale senso) che era una femmina, ho scelto il valore più grande, la pace. Mia figlia si chiama Irene ed è orgogliosa del suo nome e non perde una manifestazione in favore della pace. (Paola)

James non ha mai preso parte ad una manifestazione. La sua vità è piuttosto una di-mostrazione. Parte da Bong County in Liberia nel 2008. Ha 36 anni e una figlia di 15 lasciata alla madre di nome Amabile. Voleva andare in Italia e lo sbarco non ha funzionato come voleva. Ha vergogna di tornare al paese senza nulla. Riprende a patteggiare con la vita. Nigeria, Ghana, Algeria, Marocco, Sierra Leone, Senegal, Gambia, Burkina Faso e infine Niamey. Le geografie umane si confondono come gli anni e le stagioni dei calendari. Potrà dichiarare alla polizia di aver smarrito il passaporto e inventarsi un’identità. Le frontiere e le identità come si sa migrano insieme. Sono stabilite da chi ha il potere di farlo. All’ecogare di Wadata a Niamey c’è uno stanzone di transito dove si può passare la notte del giorno. James non ha bagagli. Si porta dietro il futuro per imbrogliare il passato.

Saluti. Com’è la vita. Sono io, Jacob, sono arrivato bene ma il governo eritreo mi ha mandato a fare il servizio militare sulla frontiera  tra l’Eritrea e l’Etiopia. Ora sono scappato e vivo in Etiopia. Grazie per tutto. Spero di raggiungere il tuo paese un giorno.

Ranelle e i suoi due figli sono arrivati stamane. Christelle ha 3 anni e quando è nata suo padre era in prigione. Suo fratello si chiama Chris e si porta dietro una chitarra per suonare l’inno nazionale.

Niamey, luglio 2014