Diritti

Omofobia, gli insulti di politici e ‘famosi’ e il senso di impunità

La carrellata di battute, commenti e insulti omofobi è così vasta che non basterebbe un libro intero per raccoglierla tutta. Eppure è abitudine che, a destra come a sinistra, stenta a passare di moda. Gli ultimi, in ordine di arrivo, che si sono prodigati in questa poco nobile arte sono un uomo della Tv e un sindaco.

Il primo è tale Danilo Leonardi, cattolico di ferro e produttore esecutivo di Correva l’anno, programma storico-culturale in onda su Rai Tre. Sul suo profilo Twitter ha infatti scritto: “Che schifo Palermo invasa dall’onda del Pride” e “Ribadisco che i gaypride mi fanno schifo. Si può ancora dire?!”. Si scatena, com’è di rito, la solita querelle e il personaggio in questione rincara: “I pedofili fanno tutti schifo. La stragrande maggioranza sono gay”. Dopo le polemiche, l’autore ha ben pensato di disattivare il suo profilo sul social network, riscuotendo la vicinanza dell’immancabile Mario Adinolfi che sul suo account commenta: “Solidarietà a Danilo, oggetto di insulti vergognosi e di un’aggressione insensata per aver espresso un’opinione”.

 

Segue il leghista Gianluca Buonanno, per altro non nuovo rispetto a certe affermazioni, che dichiara: “Due gay non devono baciarsi in pubblico, ci vuole senso civico: a me dà fastidio. […] Non sono contro gli omosessuali, ma in pubblico devono mantenere contegno”.

E quindi per l’ennesima volta termini legati al senso del disgusto (schifo) e alla patologia criminale (pedofili) vengono da una parte associati all’omosessualità e dall’altra parte contrapposti ai concetti più ampi di libertà di opinione, ordine pubblico e senso civico.

Riguardo a questo, vorrei far notare che Leonardi e Adinolfi polemizzano su un fatto che è fuori discussione: chiunque oggi in Italia può dire qualsiasi cosa su chi vuole. Questo diritto è fatto salvo dai principi costituzionali. Poi c’è il codice penale a ricordarci che una cosa è la libertà d’espressione e un’altra la diffamazione. In questi casi si procede nelle dovute sedi. Quindi, nessuno vuol scardinare certi principi. Più semplicemente, viviamo in un paese in cui viene scambiato un insulto – come associare pedofilia e l’esser gay – per un’opinione come un’altra. Un po’ come dire che donne e trans sono tutte prostitute, che gli ebrei sono attaccati al denaro, che i rom rapiscono bambini, ecc. Luoghi comuni che nelle società più avanzate persistono, ma che il contesto sociale relega nel recinto dell’inaccettabilità: negli Usa frasi come queste sono causa di licenziamento. Ci sarebbe, per altro, anche da capire quale elaborato processo mentale stia alla base di frasi come “i gay mi fanno schifo”, ma lasceremo l’onere dell’argomentazione – sempre che ne siano capaci – ai fautori di tale pensiero.

Riguardo a Buonanno, credo che le sue dichiarazioni bastino da sole a denunciare una sostanziale incapacità di relazionarsi con la complessità del reale, soprattutto laddove non si rileva la distinzione tra l’auspicato senso civico – che dovrebbe essere patrimonio collettivo – e il parere personale, sintetizzato in quel “a me dà fastidio”. A questa riflessione aggiungo pure una domanda: cosa c’è di poco civile nello scambiarsi un momento di tenerezza? Ma anche qui, la risposta va data ai nostri raffinati pensatori.

Più generalmente, ricordo che tutto questo avviene alla vigilia della discussione sulle Civil Partnership che partirà a settembre. E poiché la storia si ripete, già nel 2007, ai tempi dei famigerati DiCo, linguaggi e contenuti simili vennero agitati sia dalle opposizioni, sia dagli stessi fautori di quello scellerato progetto di legge: pensiamo alle dichiarazioni di Rosy Bindi in merito all’omogenitorialità.

Dopo quella stagione partì un’ondata di attacchi contro la comunità Lgbt, con episodi anche molto gravi (come il caso Svastichella), fomentati da un clima che il dibattito istituzionale contribuì a rendere incandescente. Sarebbe buona norma per chi agita l’agone politico ricordare che certe dichiarazioni possono far nascere quel senso di impunità che poi porta ad aggressioni verbali e fisiche: se lo dice il politico che i gay fanno schifo, perché non insultarli o picchiarli? E creare il brodo di coltura della violenza non ha giustificazioni in nessun tipo di libertà ed è quanto di più lontano dal senso civico. Chi ha pubblica visibilità e utilizza certe parole con molta disinvoltura ha il dovere di capire quali esiti può produrre e assumersi, quindi, la responsabilità morale del male conseguente. Soprattutto se sei un sindaco o lavori per la Rai.