Politica

Legge elettorale: Di Maio, Renzi e la ‘governabilità berlusconiana’

I giornali si affretteranno a dire chi ha vinto. La questione, visto che si parla di legge elettorale, non lo prevede, devono vincere i potenziali elettori, che non a caso sono sempre meno. Due cose, però, appaiono subito evidenti: Matteo Renzi ha fatto il suo monologo e le sue battute, Luigi Di Maio gli ha tenuto testa, ma lo streaming è stato un grande talk show. Potevano dirselo al telefono che avrebbero pubblicato su internet i punti nodali. C’è una timida apertura a dialogare, ma non di più. Chi ha partecipato a una qualsivoglia trattativa sa bene che non è questo il sistema, cioè cercare di vincere all’esterno, negli occhi di chi guarda. Si cercano i meriti di sostanza che l’una e l’altra parte ritiene invalicabili e si cerca molto banalmente di cedere all’interlocutore su alcuni punti. E altrettanto devono fare gli altri.

Renzi è andato all’incontro con una legge elettorale già in tasca, che ha già iniziato un iter. Ha elencato cinque punti intoccabili. Non sembra essere pronto a cedere su niente che i Cinque stelle propongono, se non una molto vaga (tipicamente renziana) apertura sulle preferenze. Tanto valeva rimanesse a casa, così come gli altri commensali che non hanno aperto bocca, in testa Alessandra Moretti, portata al tavolo come campionessa di preferenze.

Il problema della governabilità, sbandierato da vent’anni, soprattutto da un signore che si chiama Berlusconi, esiste. Ma né il Democratellum dei Cinquestelle né l’Italicum di Renzi lo risolvono. Le grandi coalizioni, anche quelle annunciate da un patto pre elettorale, in questi anni, hanno fallito. Nel 1994 il governo è caduto per la Lega, che si presentava con Berlusconi. E’ accaduto a Prodi quando Bertinotti ha staccato la spina è accaduto, per ultimo a Letta, dove il paradosso fu che a decidere la fine del governo è stato il suo partito stesso. Un po’ come facevano le correnti democristiane di lontana memoria.

Come si fa dunque a parlare di governabilità la sera delle elezioni? Con quale credibilità può farlo Renzi, che è presidente del consiglio grazie a quello che non è uscito dalle urne?

Terzo punto, e ultimo: è possibile imbastire una trattativa senza le due persone grazie alle quali oggi Renzi sopravvive? Qualcuno è disposto a credere che sia Alfano che Berlusconi possano dire sì, accordatevi voi, noi stiamo a guardare? Salterebbero tutti i piani di Renzi e Napolitano: le riforme. Che non sono la legge elettorale, ma una questione più vasta, complessa e pericolosa. Dunque una legge elettorale ci sarà, ma sarà firmata da Renzi, Berlusconi, Alfano e Salvini. Il resto si chiama propaganda. Disponibilità al dialogo formale e non a quello sostanziale. I Cinquestelle hanno guadagnato un briciolo di responsabilità che da sempre viene loro imputata. Renzi è stato il solito Renzi, molto evanescente, ancora immerso in una campagna elettorale (Moretti prende preferenze, voi no; voi vi alleate non Farage). Propaganda continua, nonostante le elezioni nelle intenzioni non sarebbero dietro l’angolo. Ma il quadro cambia spesso e con facilità.