Politica

Immunità parlamentare: poco fumus (persecutionis) e tanto inciucio

Se la riforma del Senato andrà in porto, dei 100 futuri senatori nessuno sarà eletto direttamente dal popolo, 74 saranno eletti dai consigli regionali e dalle province autonome di Trento e Bolzano tra i membri degli stessi consigli, 21 saranno eletti sempre dai consigli regionali scegliendo tra i sindaci delle regioni e 5 saranno nominati dal presidente della Repubblica.

Data la percentuale preoccupante di consiglieri e sindaci indagati si capisce come la discussione sulla reintroduzione dell’immunità parlamentare abbia acceso lo scontro fra le diverse forze politiche, Pd, Forza Italia e Lega da una parte e Movimento 5 Stelle e minoranza Pd dall’altra. In realtà non si tratta di una reintroduzione perché l’immunità parlamentare prevista dall’articolo 68 della Costituzione prevede le guarentigie non solo per i deputati ma anche per gli attuali senatori quindi bisognerebbe chiedersi in realtà se abbia senso mantenerla in vita sia per gli uni che per gli altri.

L’articolo 68 della Costituzione dice al primo comma che nessun parlamentare può essere perseguito per cose che ha detto durante l’esercizio delle sue funzioni o per i voti che ha espresso durante il suo mandato e, fin qui, credo che nessuno abbia da ridire. Ci sono stati in Europa come Regno Unito, Olanda, Belgio che di fatto limitano l’immunità parlamentare solo a questa norma che sarebbe più digeribile anche da parte dell’opinione pubblica italiana, abituata in 70 anni di storia parlamentare ad assistere a richieste di arresti di politici che sono state rifiutate o eluse dal Parlamento senza che ci fosse il cosiddetto fumus persecutionis. Nel prosieguo dell’articolo 68 è scritto che per arrestare un parlamentare oppure per perquisire il suo ufficio o la sua abitazione o per intercettare le sue telefonate e le sue conversazioni bisogna chiedere l’autorizzazione al Parlamento che può darla o negarla qualora ci sia il sospetto di un intento persecutorio da parte della magistratura nei confronti del tale deputato o senatore motivata da ragioni esclusivamente politiche. Ma quante volte dall’inizio della Repubblica fino ai giorni nostri passando per Tangentopoli c’è stato davvero questo fumus persecutionis e quante volte invece è stato tirato in ballo impropriamente ed impunemente solo per sfuggire alla giustizia? Quante volte la classe politica ha gridato alla persecuzione da parte delle toghe negando l’autorizzazione che, prima del 1993, non impediva solo l’arresto ma addirittura le indagini? Quante volte il voto sulla richiesta di autorizzazione è diventato un’arma in mano ai partiti, un voto di scambio per ottenere favori per gli uni e per gli altri in cambio di protezione verso questo o quell’onorevole? Quante volte si sono lette in maniera dettagliata le carte processuali prima di decidere se negare o autorizzare una richiesta da parte della procura? 

Renzi ha affermato in svariate occasioni di essere contrario all’immunità parlamentare che aveva ragione di esistere nell’immediato dopoguerra quando le probabilità di un’ingerenza del potere giudiziario su quello politico era molto concreta e il fascismo si era appena concluso. Oggi anche un bambino capirebbe che le cose sono totalmente diverse e questa potrebbe essere l’occasione giusta per il premier per evitare di contraddirsi e soprattutto per rimettere in discussione l’immunità parlamentare e decidere di abolirla non solo per i futuri senatori ma anche per i loro colleghi deputati mantenendo in vita solo il primo comma dell’articolo 68 della Costituzione. Infondo gli italiani hanno capito da tempo immemore che nella maggior parte dei casi in cui la procura ha chiesto l’autorizzazione alle Camere e queste l’hanno negata si è trattato di poco fumus (persecutionis) e tanto inciucio.

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