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Inps, l’appalto per l’archivio dell’istituto è un mistero da 75 milioni di euro

Altro che digitale, senza che vi sia stata una gara, dal 1998 lo Stato paga una società dai proprietari sconosciuti per custodire i faldoni

“La risposta alla domanda è affermativa”. Il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, lo scorso 16 aprile nell’aula della Camera ha risposto così a una interrogazione del deputato M5S Marco Baldassarre. La domanda era semplice: è vero che l’appalto per la gestione dell’archivio dell’Inps è stato assegnato senza gara a una società di nome Delta uno servizi Spa? È vero, ammette il governo, che però non aggiunge altro. Peccato perché si tratta di una storia istruttiva su una certa leggerezza dell’essere del settore pubblico. Per questo abbiamo ricostruito come fu che tutto l’archivio Inps – vale a dire quell’immensa massa di carta e supporti ottici prodotta ogni giorno dal più grande ente previdenziale d’Europa – sia finita a Pomezia e Ciampino, provincia di Roma, al non modico prezzo di 8,3 milioni di euro l’anno (più esborsi variabili a seconda del peso).

Una vecchio appalto (senza gara)
Tutto inizia nel lontano maggio 1998, quando l’Inps – all’epoca guidato da Gianni Billia – affida, senza gara, l’appalto per la gestione del suo intero archivio alla Delta uno servizi Spa per nove anni. Si tratta di trovare un posto in cui sistemare un mare di fascicoli, conservarli con una certa cura e riportarli indietro in caso di bisogno. Costo dell’operazione: circa 45 miliardi di lire dell’epoca più la solita quota variabile per peso. Altri tempi, si dirà. Mica tanto, visto che il contratto viene rinnovato nell’estate 2008 al prezzo stavolta di 75 milioni (più variabili) fino al luglio 2017. Stavolta, però, la gara l’avranno fatta. Macché. Il contratto – che Il Fatto Quotidiano ha potuto visionare – parla di “procedura negoziata”, cioè di una trattativa privata. Peccato che questa sia ammessa solo in casi particolari – urgenza, tutela di diritti esclusivi, circostanze impreviste, eccetera – nessuno dei quali ricorre nel nostro caso: quel servizio può essere erogato da qualunque azienda operi nel settore e dunque la vera discriminante è il prezzo. La gara era necessaria. La faccenda all’epoca venne discussa anche all’interno dell’Inps: ci furono perplessità del Comitato di indirizzo e vigilanza (Civ) e – a quanto risulta al Fatto – anche del magistrato della Corte di Conti delegato al controllo dell’Istituto , ma alla fine anche il nuovo contratto partì e le toghe contabili non hanno sollevato alcun dubbio.

Otto milioni e mezzo l’anno per un trasloco
Era il luglio del 2008 e all’Inps era appena iniziato il lungo regno monocratico di Antonio Mastrapasqua, caro al Gentiluomo di Sua Santità Gianni Letta. Il valore del contratto fu fissato in 75 milioni di euro per nove anni, più le parti variabili per le eccedenze di peso, che adesso cominciano a essere corpose visto che dal 2012 il contratto di Delta uno servizi s’è arricchito pure dell’archivio Inpdap, l’ente pensionistico del settore pubblico incorporato in Inps: ad oggi, per dire, non si sa quale sia l’esborso complessivo dell’ente previdenziale per la gestione degli archivi e il governo s’è ben guardato dal rivelarlo nella sua risposta all’interrogazione M5S. Già così, comunque, più di qualcuno ha sottolineato che otto milioni e mezzo l’anno solo per traslocare il cartaceo e custodirlo è un prezzo esagerato. Per cifre inferiori l’Inail, ad esempio, ha provveduto a digitalizzare gli archivi e i servizi.

Insomma un appalto assai oneroso, concesso senza gara e senza pianificare il futuro a una società di cui si sa molto poco. Delta uno servizi Spa risulta fondata nel 1993, ha sede a Pomezia, 52 dipendenti e un amministratore unico. Il valore della produzione, al dicembre 2012, era di 11,1 milioni di euro, gli utili 2,3 milioni: significa che se Inps non è il suo unico cliente, poco ci manca. La cosa più interessante, però, la si scopre cercando i proprietari: non si sa chi siano, visto che sono schermati dal socio unico, che è una fiduciaria, quella di Banca Finnat.

E questo è almeno un nome interessante visto che si tratta della banca della famiglia Nattino, ubiqua al potere romano (Francesco Gaetano Caltagirone è nel cda, come Nattino senior è in quello di Caltagirone editore) e con grandi entrature in Vaticano: monsignor Scarano, per dire, li cita spesso nelle carte della recente inchiesta sullo Ior. In questo caso, però, Finnat fiduciaria è solo lo schermo (legale, per carità): resta la bizzarria di un ente pubblico che concede appalti – senza gara – a una società di cui non si può conoscere la proprietà.

Da Il Fatto Quotidiano di mercoledì 30 aprile 2014