Scuola

Bergamo: il sindaco risponde sulla questione delle panchine anti clochard

Aggiornamento delle 17: il sindaco di Bergamo risponde al mio post su Twitter

 

Caro sindaco,

non basta spostare il problema. Il “dialogo” via Twitter, nato dalla lettera che le ho scritto, merita una riflessione. Lei mi precisa che non erano clochard a sedersi sulle nove panchine a cui avete messo dei ferri per impedire di sdraiarsi, ma “sbandati“. Io non faccio differenze tra clochard e sbandati: preferisco parlare di persone. Lei ha risolto la preoccupazione dei commercianti di quella strada ma resta il problema: chi sono quegli uomini? Perché erano lì? Ora dove sono? 

Mi scrive che si tratta di una sperimentazione, speriamo duri davvero poco. Non vorrei, tra qualche mese, venire a Bergamo e trovare tutte le panchine con i ferri di mezzo. E chissà che stavolta invece di uno sbandato non sia un giornalista a volersi sdraiare per leggere un libro!  

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Caro sindaco di Bergamo, ai miei allievi quando alla fine dell’anno dono la Costituzione, che spero abbia anche lei sulla scrivania, insegno sempre quattro regole. Tra queste ve n’è una che mi piacerebbe consegnare anche a lei: “Non siate mai indifferenti. Se vedete un clochard per strada, non dategli una moneta, non cacciatelo, ma chiedetevi perché è lì?”.

Nel leggere che nella sua città, ha fatto installare sulle panchine dei braccioli di ferro per impedire, magari, ai clochard, di sdraiarsi per dormire, mi sono domandato se lei si è chiesto che ci fanno lì. Prima di mettere quei ferri che permettono a suoi concittadini di non essere disturbati, si è chiesto chi è quell’uomo che su viale Papa Giovanni XXIII si sdraiava sulla panchina, che cosa faceva prima di trovarsi in quelle condizioni, se ha una moglie o dei figli.

Non solo, caro sindaco. I ragazzini di Bergamo hanno ricevuto una lezione con quel suo gesto. La scuola non resta confinata dentro le quattro mura di un edificio: chi amministra una città è un maestro, educa con le sue scelte. Cosa hanno insegnato quelle sbarre ai giovani che ogni giorno percorrono il viale principale della città? Non è forse un atto di violenza “bianca” cacciare degli uomini da una panchina? Noi insegnanti, spesso, cresciamo i nostri ragazzi educandoli all’accoglienza, alla tolleranza, al rispetto. Cerchiamo di isolare i casi di bullismo che si verificano nei confronti dei compagni migranti.

Mi son fermato più volte a riflettere con loro leggendo articoli di cronaca dove i clochard erano stati picchiati da giovani. Ho raccontato ai miei ragazzi le storie che ho raccolto uscendo qualche volta la notte con un’associazione bolognese che si occupa di loro. Spesso sono italiani, uomini di mezza età, divorziati, magari ex commercianti, impiegati che si sono giocati tutto alle slot machine.

Se nemmeno una panchina può essere di tutti, allora a che serve che noi maestri leggiamo la Costituzione in classe o la Dichiarazione universale dei diritti umani?

Comincio a convincermi che l’Italia avrebbe bisogno di un esercito di bravi maestri sulla poltrona da sindaco delle nostre città.