Economia

Genova, trattativa incagliata tra Comune e Fondazione Carlo Felice per salvare il teatro

I debiti milionari affossano i conti della struttura. I sindacati respingono il piano del sindaco Doria che taglia personale e stipendi. Se fallisce l'ultima mediazione, si rischia la messa in liquidazione dell'ente

Dire che è un lungo dialogo fra sordi schizza un pallido ritratto dello stato dell’arte. Una nave che affonda come il Titanic al suono dell’orchestra: la metafora fotografa meglio la condizione del teatro lirico Carlo Felice di Genova, stretto fra le pressanti richieste di ridimensionamento dei costi (e dunque del debito accumulato nel corso degli anni) attraverso drastici tagli del personale; e le resistenze inscalfibili dei sindacati, scesi compatti in trincea contro il piano messo a punto dal sindaco della città, Marco Doria, con l’assistenza del commissario Pier Francesco Pinelli, inviato come consulente dal ministero della Cultura, spedito da Roma per rimettere insieme i cocci di un vaso finito in mille pezzi. Sullo sfondo, a governare il corso delle cose, il diktat contenuto nel decreto dell’allora ministro della Cultura, Massimo Bray: entro il primo gennaio 2017 le fondazioni (e il Carlo Felice lo è) debbono avere i bilanci in pareggio. In caso contrario, saranno messe in liquidazione. Tertium non datur.

Ma c’è di più. Se non passa il piano appena elaborato dal commissario ministeriale – i sindacati già si sono messi di traverso, respingendolo al mittente – si rischia di non poter attingere al fondo di 25 milioni di euro della legge Bray. Una catastrofe, che decreterebbe la morte del teatro lirico genovese e la sua riduzione a teatro di tradizione, costretto a liquidare orchestrali e coristi e a sostituirli volta a volta con personale ingaggiato per le singole rappresentazioni. La fine di una storia artistica durata quasi due secoli. A corollario, la mazzata irrimediabile nei finanziamenti pubblici. Un milione di euro l’anno contro i 10 erogati finora alla Fondazione. Altra certezza: lo Stato non ripianerà più il rosso come ha fatto per decenni. Le Fondazioni dovranno camminare con le proprie gambe. O saranno chiuse.

Il guaio è che i conti del glorioso teatro lirico, inaugurato nel lontano 1828 e intitolato ad un re sabaudo detestato dai genovesi (Carlo Felice, appunto), distrutto dalle bombe angloamericane dell’ultima guerra, ricostruito faticosamente soltanto alla fine degli anni Ottanta del Novecento, sono inchiodati alla realtà da numeri in rosso fisso: 4 milioni e mezzo di deficit nel bilancio del 2013. Non andrà meglio nel 2014: 5 milioni, ai quali vanno aggiunti i 6 milioni dovuti all’Inps e all’Agenzia delle Entrate per mancato versamento dell’Irpef.

“Il Piano ha ricevuto il consenso di tutti i consiglieri e non era scontato – dice a ilfattoquotidiano.it il consigliere di amministrazione Silvio Ferrari nominato dalla Regione – Pensavo si comprendesse che si tratta di scelte obbligate se vogliamo che il Carlo Felice possa partecipare ai benefici della Legge Bray (finanziamenti e prestiti a condizioni agevolate). L’alternativa non esiste, dovremmo rassegnarci a restarne esclusi”. Ferrari sollecita una riflessione generale: “Dire che all’orchestra occorrono 18 violini e 13 contrabbassi è una convenzione, ma non sta scritto da nessuna parte che debba essere così. Né vale l’obiezione che ci sono Fondazioni che spendono di più. Se altri fanno male, non siamo autorizzati a fare altrettanto”. Infine, un avviso ai sindacati (“verso cui esprimo tutto il mio rispetto”) e ai lavoratori del teatro lirico: “Ora ci sarà il rituale dello sciopero per la Carmen e del concerto in piazza. Ma si illudono se pensano che la città scenderà in campo al loro fianco. Non l’ha fatto neppure per salvare la Piaggio Aero. E lo dico con rammarico…”.

Ferrari, una lunghissima militanza nel Pci con esperienze da assessore, è un personaggio molto rispettato a sinistra. E’ stato uno dei grandi elettori del sindaco Doria. “Ero entrato nel cda del Carlo Felice immaginando di confrontarmi sui contenuti. Avevo in mente di sollecitare una discussione su come allargare l’offerta all’intera regione, da Ventimiglia a Sarzana. Il Carlo Felice ha un pubblico statico, sempre lo stesso. E non basta più. Purtroppo ci siamo trovati a ragionare soltanto sui numeri …”. E i numeri sono impietosi. Il sovrintendente del teatro, Giovanni Pacor – in scadenza, il cda sarà rinnovato il 6 giugno prossimo con un consiglio di indirizzo – si scervella per trovare la quadra. Dove recuperare i soldi che mancano all’appello e riportare il bilancio in pareggio? Occorre evitare i tagli al Fus (il Fondo unico dello Spettacolo) fissati dal decreto Bray a carico delle Fondazioni inadempienti. Tagli ai costi, del personale e delle produzioni artistiche, maggiori entrate dagli spettacoli. La ricetta è questa. In parole povere, meno costi e più ricavi. Aumentando il numero degli spettacoli, (almeno il 20% in più nei prossimi tre anni), riduzione all’osso dei costi di allestimento e rappresentazione. Poi serviranno i soldi del fondo Bray, una decina di milioni, oltre ai 4 milioni di quota di anticipazione non ancora erogata.

Basterà a ripianare i debiti? Forse sì, nel 2013. Ma negli anni a venire? Senza affondare il bisturi del risanamento nei costi strutturali la partita è persa in partenza. I dipendenti con un contratto a tempo indeterminato sono 270, la metà all’incirca sono tecnici e amministrativi, gli orchestrali sono 80 e i coristi 60. Cifre che peraltro collocano il Carlo Felice in coda alla classifica degli enti lirici italiani, davanti solo a Bari. Purtroppo gli esperti del ministero hanno chiesto al sindaco e al cda di usare la mano pesante: servono almeno 70 esuberi su un organico che ha già accettato decurtazioni severe e la mannaia dei contratti di solidarietà. Il costo del lavoro resta troppo alto, 16 milioni e mezzo l’anno. Il piano prevede un taglio di 71 unità in tre anni, riducendo in prima battuta l’organico a 239 assunti a tempo indeterminato e 22 a tempo determinato. Con un risparmio di due milioni e mezzo di euro. La prima tranche dei tagli, secondo i sindacati, costerebbe il posto a 23 persone: dieci tecnici, cinque addetti alla biglietteria, cinque alla portieria e tre amministrativi. I servizi sarebbero esternalizzati, ipotesi che fa storcere il naso ai rappresentanti dei lavoratori. Che hanno annunciato uno sciopero per l’8 maggio in concomitanza con la prova generale della Carmen di Bizet, la cui prima è fissata per il giorno successivo. “Andremo tutti a manifestare a Torino insieme ai nostri colleghi del Regio, davanti al ministro Franceschini” ha detto Nicola Lo Gerfo della Fials. Nel documento congiunto dei sindacati sul piano si legge tra l’altro: “Ancora una volta assistiamo al penoso balletto delle istituzioni che dimostrano nei fatti di non avere alcun interesse a mantenere una fondazione sinfonico-lirica in questa città”. L’accusa punta il dito sulla “precarizzazione” cronica del personale, che secondo le sigle sindacali sarebbe il vero leit motiv del piano presentato da Doria.

Il sindaco resta dialogante e prefigura la ricollocazione presso la Ales (la società in house del ministero dei Beni culturali, che però a Genova non ha sedi) di una parte del personale soggetto ai tagli. “Sbaglia chi contesta il rigore del piano – aggiunge – Come tutti i piani a tre anni ha alcuni margini di aleatorietà, ma all’interno di un percorso praticabile. Sono aperto a qualsiasi suggerimento possa rendere il documento migliore. Ma l’equilibrio finanziario va mantenuto”. I numeri non mentono. Le previsioni, indicate dallo stesso Doria, fissano i ricavi del teatro nel periodo 2014/2016 fra i 18 e i 20 milioni di euro. Una valutazione definita prudenziale. I costi nel 2013 hanno toccato i 22 milioni. Ergo, conclude Doria, “è un passo obbligato intervenire sui costi, usando gli strumenti previsti dalla legge Bray”.