Società

Crisi, come fare la rivoluzione se devo pagare il mutuo?

Come fare la rivoluzione se devo pagare il mutuo? E’ una frase con la quale bisogna fare inesorabilmente i conti per poter cambiare lo stato delle cose al giorno d’oggi. Essa è contenuta nel libro Il Potere, il mondo moderno e le sue contraddizioni di Sebastiano Caputo e Lorenzo Vitelli due giovanissimi giornalisti, rispettivamente di ventidue e di ventuno anni, che si cimentano nel loro primo saggio dopo aver già dato prova, insieme ad altri collaboratori, di un forte spirito critico e di controtendenza  nella testata online L’Intellettuale Dissidente dove virtù, ma soprattutto vizi del nostro modello di sviluppo e della nostra cultura sono passati al setaccio e argomentati.

Come si può quindi fare la rivoluzione, se esiste un prezzo che devo pagare nella mia quotidianità e che vivo in modo vincolante? Quando non ho niente, ma mi viene fatto credere di avere qualcosa, anche solo l’illusione diventa ossigeno per non soccombere definitivamente. I meccanismi e le dinamiche mentali sono stati plasmati e portati ad una assuefazione che, già solo vent’anni fa, non sarebbe stata possibile, oggi non solo è possibile, ma è la norma.

Come posso quindi essere libero con le catene addosso? Come posso spezzarle, se dispongo della sola forza delle braccia? Come posso riconoscerle se, il più delle volte, le scambio per ornamento?

La rabbia monta tra la gente comune, l’insofferenza è visibile, ma è anche introiettata in modo tale da far ormai parte integrante del proprio essere e modo di concepire la vita. Si accetta il malessere perché si crede di non poter cambiare il mondo e credendolo ovviamente questo non cambia. Siamo micce accese a cui è stato tolto l’esplosivo. Anche quando la rabbia, in determinati contesti, esplode, sembra quasi fungere da disinnesco per esplosioni ben più grandi.

Siamo la società dell’indignazione tramite social network, tra un selfie ben riuscito e la citazione di un autore mai letto, tra la foto della cena poco prima che finisca nello stomaco e il nostro ultimo personale pensiero illuminante di cui agogniamo i mi piace ed i commenti degli amici che ci confortano del fatto che, almeno su Facebook, siamo qualcuno. Se piacciamo su facebook piacciamo anche nella vita reale, no?

Il più grande inganno sembra essere racchiuso in una delle parole più amate ed utilizzate ossia la democrazia, quel potere in mano al popolo che il popolo non ha mai avuto in mano. Esso è costretto a farsi rappresentare da gruppi che da gruppi di rappresentanza si sono trasformati in gruppi di potere rappresentanti solo i propri ristretti interessi, facendo illudere il cittadino che il suo voto sia espressione di controllo e libertà, salvo poi ritrovarsi in una delle peggiori crisi di sempre senza avere capito come e accettando il precariato come parte del vivere, pur soffrendone visibilmente. Il problema è esterno (una cattiva gestione della cosa pubblica), ma finiamo per interiorizzarlo tanto da farne un problema interno e quindi interiore (sono io che non sono in grado o comunque non ho i mezzi per cambiare le cose).

Lo stesso voto, spacciato come garanzia di democrazia, è frutto di un accurata fabbricazione da parte di chi ha i mezzi necessari per pilotare le opinioni. Nel caos delle multi-informazioni presenti su internet, nel fascino e nel carisma di determinati personaggi che non veicolano contenuti, ma immagini e status ai quali aderire, nella faziosità e nella particolarità degli interessi individuali che non riescono a creare una visione unica d’insieme, nella mancanza e distorsione continua dei fatti, nella creazione di non-problemi per omettere i problemi, il voto può essere reale espressione di libertà di pensiero?

L’astensionismo in crescita è segnale che il giocattolo del voto non funziona più come prima, ma è evidente che, al momento, funziona ancora abbastanza bene.

Il libro dei due giovani autori vuole essere un sunto ben riuscito di quello che è stato il potere negli ultimi decenni, una chiave di lettura del presente che parte dal passato lontano quando, ad esempio, civiltà più sagge della nostra, come quella greca, avevano compreso l’utilità di rimanere vincolati ad una produzione finalizzata al consumo, quanto bastava per soddisfare i bisogni naturali, quindi finiti e limitati, per poi potere avere tempo per il vivere. Superare i limiti significava rompere i rapporti umani nell’accezione qualitativa che diamo al termine umano che dovrebbe rappresentare il meglio del nostro essere. Rompere i limiti oggi ci pone in una terra di nessuno dove pensare di avere il controllo è la peggiore minaccia all’esistenza dell’uomo. In come questa minaccia si concretizzi credo che lo stiamo appena cominciando a vivere.

Per fortuna c’è chi ne scrive, per chi vorrà, buona lettura!