Ambiente & Veleni

Dissesto idrogeologico, storie dai territori feriti. E lo Stato che fa?

frana-montagnaNel febbraio di quest’anno, la parete di un’abitazione in una frazione di Borgo San Lorenzo, nel Mugello e il masso di oltre una tonnellata franato da Monte Grifone, nel palermitano, sul tetto di un’autofficina. Ma anche gli abitanti di Prima Porta, a Roma, che tentano di scaricare all’esterno l’acqua che ha invaso le loro case e i due giovani di Isola Sacra che con la loro canoa attraversano una strada allagata.

Alla metà di gennaio di quest’anno, a Laigueglia, in provincia di Savona, la frana che ha interrotto una strada e a Castelvittorio, Imperia, la casa crollata. Ma anche la ragazza con lo zaino in spalla e buste della spesa che cammina sul fango che ha coperto le strade di Mulazzo, in provincia di Massa Carrarra.

Nel novembre del 2013, ad Olbia, l’auto, in gran parte sommersa dall’acqua, trascinata dalle corrente di un corso d’acqua, straripato. Ma anche gli studenti che aiutano a ripulire le aule di una scuola dopo il ciclone.

Immagini in bianco e nero e a colori che hanno fissato l’Italia che crolla, che rischia di essere travolta da alluvioni, cancellata da frane e smottamenti. Ma anche quella che con la tenacia di quanti hanno visto il fango e l’acqua arrivare ed invadere le loro case, qualche volta crollare a seguito di eventi franosi, ha provato a rialzarsi. Spesso, unicamente, con le loro forze. Persone che hanno cercato di rimettere in ordine il loro mondo. Di ricostruirlo. Con fatica differente. Crescente, tanto più piccolo era il loro paese, tanto più lontano dai grandi centri abitati. Storie che rimangono quasi sempre ai margini della cronaca, derubricate a notizie di scarso interesse. Sulle quali invece la puntata di lunedì mattina di “Storie Vere”, su Rai1 ha deciso di investire. Raccontandole. Facendole raccontare ai protagonisti. Autori, fin’ora ignoti, di operazioni coraggiose. Con l’aiuto di pochi altri.

Perché l’Italia è evidentemente un Paese nel quale la solidarietà, la tenacia costituiscono una pronta risposta alle sciagure causate dal dissesto idrogeologico. I disastri rinsaldano virtù quasi dimenticate. Sfortunatamente l’Italia è anche un Paese che metabolizzati lutti e danni ha l’inclinazione a riprendere la strada appena interrotta. Sostanzialmente reiterando gli errori che sono alla base dei troppi orrori. I disboscamenti selvaggi, i quartieri costruiti negli alvei, l’abbandono delle aree collinari e montane. In estrema sintesi un’urbanistica scriteriata nella quale l’abusivismo ha finito spesso per essere tacitamente accettato. Ma anche il rinvio di spese indispensabili, come la carta geologica in scala 1:50mila, e soprattutto il taglio progressivo dei fondi per il rischio idrogeologico. Da 551 a 84 milioni tra il 2009 e il 2012. Solo 20 nel 2013.

Risorse insufficienti per prevenire che “dopo” debbono essere moltiplicate. Per provvedere all’emergenza. Secondo l’Ance “il costo complessivo dei danni provocati in Italia da terremoti, frane e alluvioni, dal 1944 al 2012, è pari a 242,5 miliardi di euro”. Soldi che sarebbe stato più ragionevole impegnare “prima”. Evitando disastri troppo spesso inutilmente annunciati. Risparmando tante vittime. Il geologo Claudio Margottini nel volume “L’Italia dei disastri”, curato da Emanuela Guidoboni e Gianluca Valensise, scrive che tra il 1900 e il 2002 “si sono verificati 4.016 eventi con gravi danni e ci sono stati 5.202 vittime per frane e 2.640 per alluvioni”. Un dato sfortunatamente incompleto, che va aggiornato con i disastri successivi. Con quelli che si potranno verificare. La risoluzione votata alla Camera quasi alla fine del 2013 da tutti i gruppi della Commissione Ambiente rileva che “le aree a elevata criticità idrogeologica rappresentano circa il 10% della superficie del territorio nazionale e riguardano l’89% dei Comuni”. Non solo. Denuncia che in un Comune su cinque “sono state costruite in aree a rischio idrogeologico strutture pubbliche sensibili come scuole e ospedali”.

Parole, a quanto sembra. Eppure le risorse per provvedere in maniera seria ad una prevenzione strutturata ci sono. Di certo, erano nelle casse statali, nel passato, anche recente. La Cgia di Mestre denuncia che i vari governi hanno accumulato imposte “ecologiche” raccogliendo dal 1990 fin’ora 801 miliardi e mezzo di euro. Un cifra enorme. Impegnata però solo parzialmente. Per circa sette milioni. Probabilmente è tutta qui la spiegazione. Compresa tra i numeri dell’Ance sulla spese “emergenziali” e quella della Cgia sulle imposte.

Ritardi, miopie e responsabilità continuano ad impedire al Paese di essere flagellato quasi con regolarità da disastri ambientali. Lasciando che parti consistenti di esso rimangano in abbandono, che altre siano ferite da politiche che anche il buonsenso sconsiglierebbe di seguire. Tra poco inizierà la stagione per andare al mare, in alcune zone forse già lo si fa. Tutto questo sarà accantonato. Con colpevole superficialità. Se ne riparlerà con l’autunno, con le nuove piogge. Prevederlo è fin troppo facile. Purtroppo.