Società

Sindrome di Peter Pan: ‘son ragazzi’, una parola per tutte le età

Chiedo ad un passante indicazioni su come trovare un negozio. L’uomo mi spiega di girare a sinistra, camminare qualche centinaio di metri, e poi vedrò “un ragazzo sulla porta”.  Arrivata a destinazione, mi guardo in giro ma del ragazzo neanche l’ombra. Ovvio: il ragazzo è un uomo sui cinquanta.

In Italia, la parola “ragazzo” ha un utilizzo ad ampio spettro: vale per il diciottenne, per il trentenne, per il quarantanne. A volte, anche per il cinquantenne. Insomma, son tutti ragaaazzi!

Quando mio padre aveva quarant’anni, cioè vent’anni fa, nessuno lo chiamava ragazzo. Perché mai poi? Era un uomo fatto con due figlie già grandicelle, senza il vezzo di voler nascondere i suoi anni.

Oggi – che si abbia o meno famiglia – è abitudine che uomini e donne di mezza età vengano considerati pischelli imberbi, poco lontani dall’adolescenza.

Fisicamente si fa di tutto per sembrare tali. Aggrappati all’immagine del forever young, gli attempati ragazzoni vestono in “all stars”, jeans attillati, giacche strette e occhiali fascianti, mentre le signore scimmiottano lo stile delle figlie teenager. A un primo sguardo, si fatica a capire chi sia il genitore e chi il figlio

Va da sé che lo stile, il gusto e il senso estetico sono personali e non è che passata la quarantina ci si debba vestire in stile Rita Levi Montalcini, ma mi domando se sia normale che un quarantenne e un quindicenne vestano allo stesso modo.

Moda a parte,  l’aspetto fisico è solo la punta dell’iceberg.

Incontro per strada una vecchia conoscenza, ci raccontiamo brevemente le nostre vite. “Sì, sono sposata e ho tre figli”.  Mi guarda confuso e sostiene che lui invece “ha la sindrome di Peter Pan” e tira ancora le quattro del mattino nei locali che frequentavamo vent’anni fa. E’ single e vive in uno degli appartamenti dei suoi genitori. Non me lo dice, ma dal suo sguardo mi considera out.

Il punto non è mettere su famiglia, trovare un lavoro fisso o comprare casa per sentirsi in qualche modo legittimati agli occhi del mondo. Si può decidere di non scegliere nessuna di queste opzioni e lasciarsi scivolare saggiamente gli anni, in modo meraviglioso.

Aggrapparsi a un’idea di sé che guarda al passato, procrastinare un’epoca che non esiste più – almeno anagraficamente – magari forzando la mano sulla natura stessa, è utopico.

Guardare il volto di una persona e non sapere se ha trenta, quaranta o cinquant’anni fa perdere riferimenti, come un romanzo in cui manchino alcune pagine.

L’uomo è anche il risultato della società in cui vive. E una società che spaccia la paura di invecchiare quasi fosse un male da tenere a debita distanza, promuovendo mille modi per ingannare gli anni…forse qualche domanda dovrebbe porsela.

La leggerezza di quegli anni spensierati – più felici nel ricordo di quanto, forse, non fossero –  non è ripetibile, ma mi piace pensare che voltato l’angolo ci sia qualcosa di nuovo e più grande ad aspettarmi. Rughe e preoccupazioni incluse.