Cronaca

Professore “pensionato” da Brunetta si sfoga con segreteria Boldrini: perquisito

Giovanni Falcetta è uno degli oltre seimila insegnanti che sono stati messi forzatamente in riposo avendo maturato 40 anni di contributi. A causa la norma introdotta dall'ex ministro berlusconiano e confermata dalla riforma Gelmini. Ma il docente non vuole arrendersi anche perché alcuni giudici hanno accolto i ricorsi dei suoi colleghi e sono tornati a insegnare. E dopo ricorsi, lettere e proteste ha chiamato la Camera: "In Italia, per farsi ascoltare, un cittadino onesto può solo spararsi o sparare"

“In Italia, per farsi ascoltare, un cittadino onesto può solo spararsi o sparare”. Queste parole pronunciate alla segreteria del presidente della Camera, Laura Boldrini, sono costate al professor Giovanni Falcetta una perquisizione domiciliare, ai sensi dell’art. 41 del Tulps (ovvero senza il mandato di un pm, per il sospetto di trovare armi non denunciate). Ma l’ex professore, forzatamente pensionato, si è rivelato armato solo della propria rabbia, come hanno dovuto constatare nel verbale gli agenti di polizia giudiziaria del Commissariato di Crema. Falcetta è uno degli oltre seimila insegnanti che sono stati messi forzatamente in riposo avendo maturato 40 anni di contributi. A causa la norma introdotta da Renato Brunetta e confermata dalla riforma Gelmini. 

Lungi dal limitare a lamentarsi per una legge che ha espulso una generazione dal mondo del lavoro, senza creare un ricambio, Falcetta da anni denuncia quelli che a suo avviso sono gli aspetti incostituzionali del provvedimento. Quando nel 2008 l’allora ministro Brunetta varò la legge che poi prese il suo nome, lasciò agli enti pubblici la possibilità di ricorrere alla “risoluzione forzosa” del rapporto di lavoro per quei dipendenti che avevano maturato 40 anni di contributi, senza specificarne i criteri applicativi. Una libertà che poteva dar luogo a favoritismi e disparità di trattamento. Al punto che lo stesso, in un’intervista rilasciata a Il Messaggero, dichiara che chiederà “ad ogni amministrazione di presentare un piano di riorganizzazione del personale” perché il ricorso alla norma non costituisca “un’operazione opaca” e non dia luogo a “selezioni arbitrarie”. Provvedimento che non è mai stato inserito e che ha portato anche Filippo Curcuruto, magistrato della Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, ad evidenziare “la necessità di un intervento chiarificatore … in ordine a una normativa la cui applicazione … determina indirizzi contrastanti nella giurisprudenza di merito”. 

Della questione si occupò nel 2011 anche l’onorevole Maria Luisa Gnecchi, del Partito Democratico, con un’interrogazione alla Camera, alla quale il ministro Brunetta rispose di voler “avviare, presso tutte le amministrazioni pubbliche, una ricognizione delle modalità di applicazione delle suddette normative e dei relativi effetti”.
 Ad oggi, non solo le risoluzioni forzose restano arbitrarie, ma coloro che hanno presentato ricorso contro il pensionamento coatto nei rispettivi tribunali territoriali, hanno ottenuto responsi diversi, creando ancora maggior disparità di trattamento.

Solo a titolo d’esempio, i giudici di Arezzo, Livorno, Agrigento, Cosenza, Treviso, Bologna, Salerno, Pistoia, Parma, Avellino, Pescara, Roma e Brindisi, hanno accolto il ricorso e i richiedenti sono tornati a insegnare. Con due pronunciamenti conseguitivi il Tar del Lazio e il Consiglio di Stato hanno definito illegittimi i tagli effettuati dal ministro Gelmini. Altri tribunali, invece, hanno rigettato la richiesta. A questo proposito un gruppo d’insegnanti pensionati, fra i quali lo stesso Falcetta, ha scritto al presidente della Repubblica in qualità di presidente del Consiglio superiore della magistratura, chiedendo com’è possibile che “in Italia la Giustizia possa applicare la stessa legge con esiti tanto divergenti e contraddittori. Sono stati bravi gli avvocati dei ricorrenti che hanno visto riconosciuta la fondatezza dei loro ricorsi o sono stati ingiusti i giudici per gli altri?”

La risposta arrivò per mano dell’allora consigliere giuridico Loris D’Ambrosio: “Sono certo che la Corte di Cassazione … non mancherà di dare al più presto definitiva soluzione ai denunciati contrasti giurisprudenziali”. Era il 2011. Falcetta non è uomo da arrendersi: negli anni ha contattato le segreterie dei ministri Cancellieri, Carrozza e Bonino. Nessuna riposta. Esasperato, si è rivolto in maniera concitata alla segreteria della Presidenza della Camera e gli addetti alla sicurezza, allarmati da altri casi di protesta e disperazione che sono sfociati in episodi di violenza, hanno fatto partire i controlli. Così, l’uomo che voleva essere ascoltato ha ottenuto che gli mettessero a soqquadro la casa.