Diritti

Aborto, le petizioni regionali per l’accesso alla legge 194

Per il numero elevato di medici obiettori l’Italia è stata ripresa dal consiglio d’Europa l’8 marzo. “A causa dell’elevato e crescente numero di medici obiettori di coscienza, l’Italia viola i diritti delle donne che, alle condizioni prescritte dalla legge 194 del 1978, intendono interrompere la gravidanza”, ha dichiarato il Comitato europeo dei diritti sociali del Consiglio d’Europa.

Secondo l’ultima Relazione del Ministero della Salute, nel 2011, l’obiezione di coscienza tra i ginecologi in Italia era pari al 69,3%.

La Regione con il più alto numero di obiettori è il Molise con l’85,7 per cento di medici obiettori.

Il risultato di questo dato è che molti ospedali non sono più in grado di garantire l’accesso all’Ivg, nonostante la legge non ammetta l’obiezione di coscienza per le strutture sanitarie.

Su Change.org sono già nate quattro petizioni regionali per la difesa della legge 194, relative a Lazio, Lombardia, Sicilia e Toscana. Secondo l’articolo 9 della legge 194 infatti, “gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare l’espletamento delle procedure previste dall’articolo 7 e l’effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza richiesti secondo le modalità previste dagli articoli 5, 7 e 8. La Regione ne controlla e garantisce l’attuazione anche attraverso la mobilità del personale.”

La storia di Valentina Magnanti, costretta ad abortire, con il solo aiuto del marito, in un bagno dell’ospedale Sandro Pertini di Roma, è emblematica delle difficoltà, e spesso dei drammi, che le donne che decidono di interrompere una gravidanza si trovano a vivere a causa dell’alto numero di medici obiettori. Al governatore del Lazio Nicola Zingaretti, che è responsabile dell’applicazione della legge 194 sul territorio regionale, chiediamo di prendere tutti i provvedimenti necessari a garantire che l’obiezione di coscienza non ostacoli l’accesso all’interruzione di gravidanza in tutte le strutture ospedaliere pubbliche e convenzionate”, dichiarano le donne del Comitato “Mai più clandestine”.

Roberto Biscardini, promotore della petizione per la Lombardia, ritiene che sia possibile ricorrere anche a personale esterno per soddisfare richieste di prestazioni sanitarie eccedenti le proprie dotazioni organiche, “pratica peraltro utilizzata ordinariamente per molte altre attività, in particolare chirurgiche”.

In Sicilia Giovanna Fiume, insegnante di Storia moderna all’Università di Palermo che ha fatto parte del movimento delle donne degli anni ’70, ricorda come “la legge che consente in Italia l’interruzione della gravidanza fu il risultato di una grande mobilitazione e di intensi dibattiti all’interno dei gruppi che componevano il movimento delle donne. Nei primi anni Settanta l’aborto era ancora considerato dal codice penale un reato e le donne che decidevano di abortire dovevano clandestinamente rivolgersi alle ‘mammane’ o, se ne avevano la possibilità, ai ‘cucchiai d’oro’, ginecologi che operavano in strutture private o andare nei paesi europei dove l’aborto era legale.”

Sara Peloso di Pistoia chiede che non vi siano turni ospedalieri in cui è presente solo un medico obiettore: “Quando avevo 16 anni, la mia migliore amica mi chiamò una domenica mattina. Al telefono lei piangeva disperata, mentre faceva l’amore con il suo fidanzatino, il preservativo si era rotto. Se ne erano accorti subito e corsero al pronto soccorso. Furono inviati al reparto di ginecologia e il medico era un obbiettore. Lo erano anche i medici dei tre successivi turni. So che questa storia può sembrare nulla Presidente della regione Toscana. Ma se quel medico, quel sabato sera, invece di proclamarsi soltanto obiettore, avesse fatto alla mia migliore amica alcune domande, come per fortuna fece poi una ginecologa di un consultorio, avrebbe capito che non era possibile che fosse rimasta incinta e non le avrebbe fatto passare due giorni infernali. Ma se ci fosse stato anche un altro medico di guardia non obiettore, e se la mia amica avesse voluto scegliere di assumere la pillola del giorno dopo, avrebbe potuto essere lei a scegliere. Una donna deve avere il diritto di scegliere, ove la legge lo consente. La legge è stata fatta per poter far scegliere alle donne cosa fare, non ai medici.”