Società

Tecnologie: su giovani, cyberdipendenze e capipopolo

Il benessere e la felicità che si vivono in un determinato momento, perdono di senso senza la speranza in un futuro altrettanto radioso. Abbiamo bisogno di controllare e prevenire i capricci del caso, immaginando un’evoluzione progressiva e senza scosse. Viceversa, oggi prevale l’incertezza, la precarietà, il senso d’impotenza, la visione minacciosa del mondo. Il “futuro – promessa” si è trasformato in “futuro – minaccia” e un numero sempre maggiore di giovani e meno giovani è disorientato, non sa che fare, dove andare, e neppure sa chi sia, appare privo di un ruolo sociale, privo di identità – “liquido” direbbe Bauman. I ragazzi Hikikomorihiku (indietreggiare) + komoru (isolarsi)- che rimangono volontariamente reclusi  nella propria camera da letto per mesi e anni, attaccati ad internet come ad una macchina cuore polmone, sono uno degli ultimi esempi, in ordine di tempo, di psicopatologia a matrice sociale che si diffonde dal Giappone agli Stati Uniti fino all’Europa e all’Italia dove questi ragazzi sono meglio conosciuti come cyberdipendenti. Così mi hanno colpito le carezze, le coccole e le affettuosità a pagamento, con la drastica esclusione del sesso, che tendono a diffondersi da Tokyo agli Stati Uniti, esempio di  mercificazione di qualcosa che dovrebbe essere spontaneamente e diffusamente presente in ogni struttura sociale. A volte penso che anche la psicoterapia possa cadere nello stesso inganno, che le persone che la richiedono ricercano essenzialmente una prossimità umana comprensiva e non giudicante.

Sono segnali di una società globalmente sofferente dove  la famiglia attuale, troppo presa dalle difficoltà reali, difficilmente superabili dalle singole persone, fatica a mantenere un ruolo generazionale di autorità e competenza, ad essere un supporto affettivo in grado di contenere le ansie dei propri figli e dare loro fiducia nel futuro. Se crolla il contenitore “famiglia”, la richiesta di protezione  può spostarsi a contenitori diversi. Affidandoci alla parte evoluzionisticamente più antica del nostro cervello, torniamo regressivamente al branco, nella sua forma più primitiva. Imponiamo ai leaders politici, resi apparentemente familiari dall’incessante riproposizione massmediatica, di essere quello che noi non siamo: un capobranco ideale. Selezioniamo la persona pubblica che più fa mostra  di quelle esibizioni che gli animali utilizzano inconsapevolmente per prevalere nel rango o nel corteggiamento. I comportamenti di parata diventano così una relazione di parata, dove ognuno è costretto rigidamente a giocare nel proprio ruolo, di capo o di gregario.

Questi modelli relazionali sono sempre stati presenti e si amplificano nei periodi di crisi creando diffuse relazioni di parata. La  pacatezza e la congruità dei contenuti, la profondità e la sensatezza dei pensieri, la logica degli interventi non ottengono più consenso e  lasciano il campo all’esibizione di potenza, alla violenza della retorica, alla prosopopea, alla supponenza, al protagonismo e a una buona dose di arroganza e disprezzo dell’avversario, il tutto contraffatto e camuffato da passionalità.

Ipersaturi di notizie massmediatiche, ma essenzialmente privi di informazioni, siamo spaventati per l’impossibilità di comprendere un mondo troppo complesso, sempre più tecnologico in ogni sua componente, scientifica, sociale, sanitaria, economica, industriale. In questo mondo, che ci appartiene sempre meno, immaginando battaglie oscure e rischiose, tendiamo ad affidarci a generali che fanno sfoggio di mostrine colorate. Li costringiamo ad enfatizzare le loro naturali doti di suggestione e seduzione, sviluppiamo il loro narcisismo fino a renderlo patologico attraverso un atteggiamento di regressione, delega e idolatria. 

E’ ormai da tempo che, sentendoci minacciati da un medio evo prossimo venturo, siamo particolarmente sensibili agli imbonitori. Speriamo che il rimedio non sia peggiore del male.