Scienza

Ricercatori, sei italiani tra i migliori. Ma con quale criterio?

E’ stato recentemente pubblicato dalla rivista scientifica European Journal of Clinical Investigation un articolo che elenca i 400 scienziati “più influenti del mondo” nelle discipline biomediche. Ha avuto un certo risalto sulla stampa nazionale soprattutto per il fatto che include sei italiani (i professori Mantovani, Colombo, Remuzzi, Mancia, Di Marzo e Zanchetti) che lavorano in Italia (più altri italiani che lavorano però all’estero, soprattutto negli Usa). Dei sei italiani, quattro lavorano a Milano, uno a Bergamo e uno al Cnr di Pozzuoli (Na). A questi validissimi colleghi vanno le più sentite congratulazioni per il riconoscimento ottenuto.

Come sono stati selezionati i 400 scienziati più influenti del mondo? Gli autori hanno interrogato il database di pubblicazioni scientifiche Scopus ed hanno selezionato gli scienziati le cui pubblicazioni scientifiche erano più citate, considerando sia le citazioni totali che una elaborazione di questo dato, chiamata indice h. La mole del lavoro (svolto da un computer) è impressionante: Scopus raccoglie informazioni bibliografiche relative a 15 milioni di scienziati, 150.000 (l’1%) dei quali, secondo gli autori dello studio, hanno un indice h uguale o superiore a 20. Uno dei due criteri di selezione dei 400 “bravissimi” era che l’indice h fosse uguale o superiore a 76, l’altro che le citazioni totali fossero superiori a 25.000. Dal punto di vista statistico può avere interesse un confronto tra i vari paesi: gli Usa fanno la parte del leone con oltre la metà degli studiosi citati; la Francia ne piazza 9 tra i 400, la Germania 15, la Svizzera 7, la Finlandia 4, l’Olanda 13, etc. Rispetto alle usuali classifiche basate sulla produzione scientifica globale dei vari paesi questi risultati promuovono alcuni paesi piccoli ma molto avanzati nella ricerca che compensano con una elevata qualità della ricerca la piccola dimensione numerica: ad esempio la Finlandia o l’Olanda.

Dal punto di vista socio-politico c’è una certa ingenuità in queste classifiche di eroi della ricerca, che dicono pochissimo sulla qualità della ricerca scientifica nei diversi paesi considerati e riducono la scienza, che è l’impresa corale, di moltissimi scienziati, all’incensamento di pochissimi (uno dei 400 grandissimi figura tra gli autori dello studio, e scrive quindi di se stesso). E’ banale ricordare, ad esempio, che Einstein formulò la teoria della relatività basandosi sugli esperimenti di Michelson e Morley e sulle equazioni di Maxwell e Lorentz: senza nulla togliere a suoi meriti eccezionali, Einstein non era un genio isolato, ma un teorico ben inserito nella scienza dell’epoca che ne formulò un progresso fondamentale, non una rivoluzione. Il fatto che oggi Einstein sia noto a tutti e Michelson, Morley, Maxwell e Lorentz siano noti a pochi distorce e rende irrealistica la nostra immagine del progresso scientifico. Una delle dimostrazioni di inconsistenza delle classifiche degli eroi è che non coincidono mai le une con le altre: ad esempio se si considerano gli scienziati che hanno condiviso il premio Nobel per la medicina, si nota che uno solo dei tre Nobel 2013 figura nella lista dei 400; nessuno dei due Nobel 2012; nessuno dei due Nobel 2011; non figura Robert Edwards, unico assegnatario del premio Nobel 2010.

Se gli autori avessero studiato la distribuzione geografica dei migliori 150.000 scienziati (quelli che dai loro dati risultano avere l’indice h superiore o uguale a 20), forse ci avrebbero rivelato qualcosa di effettivamente interessante; ma ovviamente non avrebbero potuto elencarli tutti per nome e cognome. Purtroppo il movente principale dello studio pubblicato sembra essere stata questa piccola vanità.