Mondo

Da Amburgo a Roma, sindrome di Stoccolma per la cultura antagonista?

In un bel pezzo a firma di Maximilian Probst, giornalista del tedesco Die Zeit, si racconta della vicenda del centro sociale Rote Flora di Amburgo con lo scopo di introdurre un’analisi di più ampio respiro sulla questione odierna della “gentrificazione” delle capitali globali.

Probst, nella traduzione proposta da Internazionale, offre un’interessante disamina sul fallimento dei movimeni antagonisti e sul loro paradossale ruolo di “produttori di contenuti” per il capitalismo; prendendo in prestito gli studi di David Harvey,  il giornalista tedesco sottolinea come il capitalismo dia valore commerciale ai luoghi che gli si oppongono perché provvisti di quella carica identitaria, autentica e ribelle di una volta che tanto affascinano le nuove generazioni di consumatori. “Non è stato malgrado il Rote Flora ma a causa sua che gli affitti e i prezzi degli immobili dello Schanzenviertel sono aumentati. […] Alla fine non si tratta solo di soldi: è il capitalismo che, a un livello molto più profondo, assorbe e adotta lo stile di vita dei militanti radicali.”

Possibile che enclavi di dissenso, costate scontri fisici con la polizia, processi e duro lavoro, finiscano poi per assumere le fattezze del “nemico” che si proponevano di combattere? Nella società occidentale, sempre più regolamentata e conformizzata, i confini tra le culture antagoniste ed il mercato si sono pericolosamente assottigliati. Anzi: gran parte di quelle contro-culture-dure-e-pure fiorite tra gli anni ’70 ed i ’90 sono diventate un serbatoio di idee e modelli per il mercato globalizzato del 2014; proegue infatti l’autore del pezzo “ […] Di fatto il capitalismo si è fatto strada all’interno del movimento e ha tratto lezioni fondamentali dalle sue critiche. Cosi ha abbandonato la fabbrica, l’antico nemico degli autonomi, e si è decentrato secondo il modello immaginato dagli autonomi. Partendo dall’ideale della libera disponibilità del tempo ha creato orari di lavoro flessibili, partendo dall’ideale del collettivismo e della cooperazione ha sviluppato il lavoro di squadra, e dal desiderio di autorealizzazione ha mutuato la figura del lavoratore autonomo creativo, cioè l’azienda individuale. Non è un caso che i caffè di fronte al Rote Flora siano frequentati soprattutto da pubblicitari, copywriter e web dsigner: sono loro il fiore all’occhiello del nuovo capitalismo della conoscenza, gli allievi più perspicaci degli autonomi.”

Da Londra ad Amsterdam, da Berlino ad Amburgo e poi a sud, fino a Barcellona, Roma ed Atene, il trend è sempre lo stesso: quartieri popolari dotati una volta di un forte senso identitario (l’opposto dei tranquilli, anonimi e sonnolenti nuovissimi quartieri della middle-class impiegatizia, per capirci) animati da conflitti, negozi indipendenti e spazi di aggregazione politicizzati ed autogestiti, sono stati rapidamente “colonizzati” da investimenti milionari e da un esercito (globale) di freelance facilmente “annoiabili” che adorano l’estetica verace e comunitaria, il gusto del brivido controllato e le petizioni su Avaaz. Ed è proprio la creatività, scissa dalla componente radicale di lotta, che ha sancito il declino dell’esperienza autogestita, tanto in Italia quanto negli altri paesi con una lunga tradizione di controculture. Cosi gran parte di quegli spazi sociali che popolavano l’Europa, sono stati spazzati via dall’ultimo decennio di speculazione edilizia che ha travolto in maniera uniforme il Vecchio Continente, mentre quelli rimasti, hanno dovuto accettare l’involuzione da spazi antagonisti a centri culturali legali che operano in tutto e per tutto come gli altri soggetti dell’economia di una città, coinvolti nella borghesizzazione (la celebre “gentrificazione”) come i loro quartieri popolari dei quali rappresentavano una volta dei laboratori politici spontanei.

La vicenda della zona di Schanzenviertel è insomma quella di Jordan ad Amsterdam, di Kreuzberg a Berlino, di Shoreditch e Brixton a Londra, di San Lorenzo a Roma, di Gronland ad Oslo e di Exarcheia ad Atene: alle storie locali di queste porzioni di Europa è stato dato ad un certo punto un valore economico e come in un luna-park, pagando il prezzo del biglietto -che si tratti degli affitti a peso d’oro, del salatissimo conto nella caffetteria biologica o degli acquisti nel nuovissimo Pop-Up store – è stato consentito a chiunque non facesse parte di quella comunità, di vivere da spettatore-consumatore quell’atmosfera underground che all’origine, al contrario, si era nutrita di partecipazione. E cosi, i movimenti antagonisti, si trovano oggi affetti da una bizzarra forma di Sindrome di Stoccolma che ha finito per farli innamorare del loro carnefice, il quale nel frattempo ha assunto le loro stesse sembianze, come nel film The Hidden. Cosi, anche se il Rote Flora dovesse salvarsi, si troverà davanti al dilemma di tanti altri spazi omologhi in Europa: regolarizzarsi (adeguarsi) e sopravvivere oppure lottare e sparire?