Media & Regime

Libertà di stampa: Librino, il cronista Luciano che va a caccia di foto, non di lepri

Librino (o Lebrino, che dir di voglia) cosa è? Parliamo di un puntino nella geografia degradata delle periferie meridionali. E’ il quartiere dove il cittadino Luciano Bruno è stato aggredito, insultato, minacciato. Lebrino c’è ma non deve vedersi, come le foto che Luciano stava scattando, nel suo quartiere, nel luogo dove i suoi familiari vivono insieme ad altri centomila catanesi. Luogo della ingegneria asociale dove spesso i postini vanno a memoria perché non ci sono né i numeri civici e talvolta neanche i nomi delle strade e dove si abita occupando le case popolari. La cittadinanza è cosa “abusiva”, qui.

Siamo a sud ovest di Catania. Fino a 50 anni fa, campagna “leporina”, luogo di ripopolamento di lepri e conigli a fini venatori, come suggerisce il nome di origine latina. Zona di caccia, anche nel recente passato e nel presente storico: caccia alla speculazione edilizia e caccia all’uomo, caccia alla civiltà, zooponimo suburbano, di uomini ammassati come conigli. Pronti a subire o a prepotere. ‘U quatteri, tout court, come lo chiamano gli abitanti.

Negli anni 60 lo progettò l’architetto giapponese Kenzo Tange, doveva essere (come il Cep e lo Zen a Palermo, come Scampia a Napoli) la “città ideale”. Ma Lebrino è diventato subito, già prima di nascere, un aborto urbano. A chi lo disegnò, da Tokyo o da New York, non fu detto che quella zona era vicina all’aeroporto e gli aerei volano raso, nel frastuono h24, sulle case. Quando il progetto fu approvato, per metà le case abusive avevano già invaso il territorio e le aree che dovevano essere verdi. Lo chiamano inquinamento acustico. E poi c’era la borghesia economica e fondiaria locale che, variante dopo variante urbanistica, ha ridotto questo luogo a contenitore di persone e di disperazioni. Uomini come conigli, come bestie. Strade al posto di case abusive, nuove case abusive al posto di strade e ponti.

Volavano rasi gli aerei low cost anche venerdì scorso, su Luciano Bruno e sul Palazzo di Cemento, il “muro di Lebrino”, il simbolo del degrado di questo luogo italiano. Qualche anno fa e poi sempre più spesso, intorno a quel cubo di cemento armato che è luogo di spaccio e di traffico al centro di Lebrino, arrivò la polizia per una retata: i pusher scappavano inseguiti dagli sbirri. E la gente, dai balconi delle case, buttava pietre sugli sbirri. Per aiutare quegli altri a fuggire. La caccia continua ed è quotidiana a Lebrino.

Luciano, cittadino di Lebrino ma giornalista, performer, artista, poeta da strada, non poteva fotografare quel monumento. A Lebrino (ed essendo Luciano di Lebrino) non si può neanche fotografare, né dire. Ecco, questo è il punto: le foto di Luciano Bruno, catanese di Lebrino, sono un gesto che appartiene a tutti, perché Lebrino ha il diritto di esistere. Nessuno tocchi Luciano e quel suo click, perché in quel “quatteri” non vivono più solo lepri o conigli.