Cultura

Eminem e Beyoncè sono più ‘rock’ degli (ultimi) U2, perché

Capitavo l’altro giorno all’ascolto del nuovo singolo degli U2 “Ordinary Love e pensavo a quanto ormai certi artisti, una volta grandissimi, non sappiano più stupire: ogni nuova uscita è la sorpresa che t’aspetti, come dire che il “cinese” è conveniente o che gli uomini non hanno la cellulite.

Lo sanno tutti: così come certa musica se l’aspettano in altrettanti.

Questo, che pure rischia di essere un luogo comune bello e buono, mi spinge però ad allargare il discorso interamente al rock, poiché Bono Vox è stato uno dei primi – se non il primo – a menarcela con la storia che il genere in questione era forse morto, forse decotto, forse addirittura improponibile al giorno d’oggi: niente di tutto questo, secondo me è semplicemente venuta meno l’ispirazione di molti grandi interpreti di una delle pagine più rosee della storia della musica. Ed il rock, contrariamente al pop e all’hip hop (che se vogliamo costituiscono storicamente la “concorrenza”) non stupisce certo per innovazione e adattamento: sì che i Muse così come i Radiohead hanno detto cose importanti a cavallo tra gli anni ’90 e 2000, certi pure che il grunge ha rappresentato un solco importante, la verità è che non si è andati molto oltre “Back In Black” degli AC/DC piuttosto che “Joshua Tree” del già citato quartetto irlandese o, ancora, “The Number Of The Beast” degli Iron Maiden, “Nevermind” dei Nirvana, “Dirt” degli Alice In Chains o “Grace” di Jeff Buckley. E questo solo per citarne alcuni e tenerne fuori colpevolmente molti altri.

Guardando quelle che sono le classifiche di vendita di tutto il mondo solo negli ultimi mesi, si fa presto a stupirsi del successo di Beyoncè e, ancora prima, Eminem o Justin Timberlake: al di là della considerazione che si può avere degli stessi, senza prenderli ad esempio di disco o artista “tipo”, si deve secondo me notare come la loro ‘freschezza’ di fondo coincida con un lavoro di produzione che travalica di brutto le definizioni di genere, spiegando presto perché non piacciano a nessuno salvo poi esser comprati praticamente da tutti. Quello che oggigiorno secondo me manca nel rock è la capacità, di quasi tutti i cosiddetti grandi, di farsi carico di una narrazione importante: Rihanna evidentemente incarna un modello femminile vincente, nel quale è auspicabile forse rivedersi, così come il livore del già citato Eminem nasconde in realtà la rivalsa dei bassifondi contro l’arroganza dei soliti “primi”.

Questo deve evidentemente arrivare meglio e più delle foto con Mandela o delle disquisizioni nobili e giustissime sulla fame nel mondo che però, spesso, lasciano almeno a me il sospetto di voler coprire un po’ ad arte un calo d’ispirazione irreprensibile. E chiunque fa musica, state pur certi che lo fa con l’intento di arrivare a più persone possibili. Viene allora da chiedersi perché il rock, che pure annovera numerose eccezioni in questo senso, non riesca a vendere sempre tanto: colpa secondo me di una pretesa di superiorità che non riscontrerete mai come avrete modo tra i fan dei Metallica o dei Pearl Jam e di un timore riverenziale che gli stessi grandi artisti hanno nei confronti del loro pubblico. Nel rock l’allontanamento dalla ‘base sicura’ è una nota in classe da far firmare in bianco, con annessa rinuncia a qualsivoglia forma di melodia sputtanata se non almeno in levare o comunque in tempo dispari: come se le orde di chitarre che colorano i dischi di Serj Tankian potessero riuscire a nascondere un’armonia ed una struttura che altri non è che pop(ular) o avessimo voluto stroncare, all’epoca, “Grace Under Pressure” dei Rush in quanto più synth che altro.

Tutto questo fa il paio con l’ostracismo ed il tappo costituito dalla richiesta continua delle cosiddette hit d’annata, specie nelle radio musicali, che hanno spesso il solo fine di volersi appiccicare una medaglia al valore militare sul petto e, in secundis, disinfettarsi a più non posso rispetto a tutto quanto di interessante (o tendenzialmente interessante) è stato detto negli anni e nei mesi a noi immediatamente precedenti. E’ come provare piacere onanistico alla certezza che saranno i padri a seppellire i figli e non viceversa. Perché chi diamine sei tu per saperne una in più di Robert Fripp o Dave Mustaine o Brian Wilson? Tu, in realtà, devi morire: questo è ciò che meriti. Il fatto che molti dei maggiori interpreti del settore sciolgano lo stesso dado nella stessa minestra da qualche decade è un puro dettaglio, che si accetta di sopportare ben volentieri: perché per quanto 20 euro per un disco appena uscito siano tanti, sono comunque pochi se quello è il prezzo che si usa per mentire a se stessi ed assolversi da certi peccati di goliardia. Ed inevitabilmente i tempi che viviamo sono e saranno sempre più veloci di un cambiamento spesso ucciso sul nascere o relegato al rango di fenomeno occasionale: sarà stato così per il punk, il metal ed il progressive.

A me personalmente non resta che augurare a questa nuova generazione di musicisti duri e puri di avere presto la meglio sulle solite nenie: che Dio evidentemente non ne vuole proprio sapere di fermare quel vinile.