Scienza

Ricerca biomedica: Nature e l’Italia che vuole fare la prima della classe

Negli ultimi vent’anni la ricerca scientifica in Italia non ha mai goduto della considerazione necessaria da parte della politica. Soprattutto i governi guidati dall’ormai ex onorevole Berlusconi hanno pesantemente tagliato i finanziamenti, nel tentativo di risparmiare sulla spesa pubblica per finanziare sgravi fiscali destinati soprattutto ai contribuenti più abbienti. Questo attacco alla ricerca scientifica è stato condotto su vari fronti: dai tagli puri e semplici ai blocchi del turnover del personale docente per gli atenei “non virtuosi”, ed ai tagli conseguenti alle valutazioni cosiddette “meritocratiche” del CIVR e poi dell’ANVUR dei quali ho scritto altrove.

Oggi un nuovo allarme viene lanciato dalla prestigiosa rivista scientifica Nature Neuroscience che il 22 novembre scorso ha pubblicato un editoriale intitolato “Italian Biomedical Research Under Fire. L’articolo si riferisce ad una legge votata alla Camera nello scorso mese di agosto il cui art.13, in particolare, recepisce una direttiva europea del 2010 sulla sperimentazione animale, inasprendola. L’Italia, come spesso accade è tra gli ultimi ad applicare la direttiva europea; quando lo fa, bontà sua, anziché applicarla com’è la “migliora” e cerca di passare da ultima a prima della classe.

Diventare primi della classe per i nostri legislatori, ahimé, non è facile: bisogna avere competenze specifiche. Se non le si hanno è preferibile attenersi pedissequamente alla norma europea, che è scritta da gente che si era consultata con gli esperti. Il governo ha invece semplicemente pensato che se l’Europa con la direttiva 2010-63 chiedeva certe garanzie per la sperimentazione sugli animali, per fare bella figura bastava raddoppiarle. Il nostro governo non si è reso conto che con le garanzie si può anche esagerare e che il provvedimento varato di fatto vieta pratiche scientifiche ammesse in tutto il resto del mondo e necessarie per alcuni studi.
Ad esempio il disposto legislativo vieta le pratiche di xenotrapianto (trapianto di tessuti tra specie diverse). Il legislatore avrà forse ritenuto che lo scopo dello xenotrapianto fosse la creazione del mostro di Frankenstein; invece è la pratica necessaria, ad esempio, per impiantare un tumore umano su un ratto “nudo” (cioè geneticamente privo di difese immunitarie che consentono il rigetto) e studiarlo sull’animale.

Ho già avuto modo di spiegare su questo blog che l’importanza della sperimentazione su animali non si limita allo studio degli effetti dei farmaci: senza sperimentazione animale non sapremmo nulla della fisiologia e della patologia. Ho anche sostenuto che gli studi su animali non sono sostituibili con modelli computerizzati o con studi su culture cellulari, anche se queste pratiche possono ridurre il fabbisogno di animali per i laboratori e meritano grande considerazione. Non certo per caso l’articolo di Nature Neuroscience scrive “It is not difficult to see how these restrictions, if implemented, could have catastrophic consequences for the entire Italian biomedical research community”: il problema creato dalla nuova normativa non sarà limitato allo sviluppo di nuovi farmaci ma sarà esteso all’intero ambito della ricerca biomedica. Anche gli studi su organismi geneticamente modificati e, soprattutto, transgenici saranno praticamente impediti.

Quali sono le cause di questi atti legislativi improvvidi? L’articolo di Nature Neuroscience cita l’ignoranza del pubblico non specializzato, che comprende il grosso del corpo elettorale, della quale anche gli scienziati italiani sono responsabili. La rivista infatti nota come in Italia sia stata gravemente carente, e disprezzata, la divulgazione scientifica. Non si può darle torto. Basti questo solo esempio: l’ANVUR, nella scorsa Valutazione Quinquennale della Ricerca (poi convertita in Valutazione della Qualità della Ricerca per coprire il settennio 2004-2010 anziché l’annunciato quinquennio 2004-2008) ha assegnato un punteggio negativo agli articoli e libri a contenuto divulgativo!