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L’Aja umilia l’Africa?

Un periodo di calma apparente, poche sessioni in aula e molta politica dietro le quinte, per la Corte Penale Internazionale dell’Aja. Con l’Assemblea degli Stati Parte (l’organismo che riunisce i rappresentanti degli Stati firmatari dello Statuto di Roma) ancora in corso e monopolizzata dall’affaire Kenya, arriva la notizia che un’operazione congiunta delle polizie di Francia, Belgio, Paesi Bassi e Repubblica Democratica del Congo, portata a termine lo scorso fine settimana si è conclusa con l’arresto di quattro cittadini congolensi, coinvolti nel processo per crimini contro l’umanità a Jen-Pierre Bemba, ex vice-presidente dello Stato africano. I quattro sono stati immediatamente estradati all’Aja, in esecuzione degli obblighi derivanti dall’adesione alla Corte Penale. Il mandato di cattura internazionale, firmato dal giudice italiano Cuno Tarfusser è stato spiccato per violazione dell’art.70 dello Statuto di Roma e riguarda la spinosa questione dei testimoni; gli uomini africani arrestati, secondo l’Icc, avrebbero avuto un ruolo attivo nel manipolare testimoni favorevoli alla difesa dell’ex politico congolense.

Oltre a due importanti membri del pool di avvocati di Bemba, Aimé Kilolo-Musamba, e Jean-Jacques Mangenda Kabongo, comparsi oggi pomeriggio all’Aja è attesa l’estradizione nei Paesi Bassi di Fidele Babala Wandu, senatore della Repubblica Democratica del Congo, e capo del Movimento di Liberazione del Congo, partito dell’ex vice-presidente Bemba. Anche a lui, viene contestata la violazione dell’art.70 dello Statuto di Roma. Il Movimento di Liberazione del Congo (Mlc), che ha preso parte attiva alla seconda guerra civile congolense, è oggi il maggior partito di opposizione parlamentare del paese. 

Tornando alla vicenda dei testimoni nei procedimenti penali internazionali, è bene ricordare che le pressioni sui testimoni ci sono state fin dall’istituzione della Corte, uno dei nodi più difficili da affrontare, come mostrato dalle travagliate vicende del processo ai vertici del Kenya. Con questa operazione (internazionale) di polizia, coordinata dall’Aja non è da escludere che la Corte abbia voluto lanciare un messaggio chiaro all’indirizzo dell’Assemblea degli Stati Parte dove la discussione su una possibile modifica allo Statuto di Roma, che conceda immunità dal giudizio ai capi di stato in carica, ha tenuto banco fin dalle prime battute. Sono emerse, soprattutto, le posizioni possibiliste dei delegati di Giappone, Grecia e Guatemala, che hanno chiesto la revisione dell’art.134 dello Statuto, ammettendo la possibilità, per alte personalità politiche a giudizio, di non presenziare alle udienze.

La decisione finale, tuttavia, è rimandata a febbraio, quando si terrà una seduta speciale dell’Assemblea degli Stati Parte che vorrebbe (almeno sulla carta) mettere fine alla disputa politica sul processo a Kenyatta e Rutto. A convincere la diplomazia keniota che uno scontro frontale con la Corte, sarebbe allo stato attuale non auspicabile, è stato il voto del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite dello scorso 15 Novembre, che ha rigettato la richiesta del Kenya di sospendere per un anno il procedimento a carico dei suoi vertici politici. Nonostante il voto favorevole di due membri permanenti, Francia e Cina, su cinque, la partita si è conclusa con 7 sì e 8 astenuti. Il minimo richiesto dal regolamento era di 9 voti a favore. L’ambasciatore keniota alle Nazioni Unite, ha definito il risultato della votazione “un’umiliazione per l’Africa”.