Economia & Lobby

Alitaliana

Da tempo Air France-Klm sostiene che per Alitalia si debba procedere a una ristrutturazione del debito. Ipotesi considerata politicamente inaccettabile dal Governo italiano. Ora resta la necessità di trovare un partner per la compagnia aerea. La nazionalità e le quote da sottoscrivere.
, 19.11.13, lavoce.info

Alitalia: un finale già scritto

I commentatori hanno interpretato la decisione Air France-Klm di non sottoscrivere l’aumento di capitale di Alitalia come frutto del desiderio di sganciarsi dalla compagnia italiana, perché quest’ultima si rifiuta di sottostare alla volontà dei franco-olandesi di ridurla a un loro piccolo insignificante satellite. Molti hanno poi aggiunto che, a questo punto, “gli italiani” cominceranno a cercare un altro partner internazionale. Nel frattempo, è giunta la notizia che Aeroflot si è dichiarata non interessata, mentre una “delegazione italiana” sarebbe in partenza per gli Emirati Arabi, nel tentativo di convincere Etihad a entrare nel capitale di Alitalia.

Forse vale la pena di ricordare alcune cose perché i lettori possano formarsi un’opinione.
1) Nel febbraio del 2013 Air France-Klm aveva regolarmente versato la sua quota (24 milioni di euro) del prestito convertibile deciso dal consiglio di amministrazione di Alitalia per salvarla dalla crisi di liquidità. All’aumento di capitale deliberato in ottobre, invece, Air France non ha aderito, pur avendo votato a favore in cda. Perché?
2) Alitalia è stata acquistata, nel 2008, per una cifra stimata intorno al miliardo di euro. Il valore di fatto certificato dal cda di ottobre 2013 è di circa 30 milioni di euro. Nei cinque anni scarsi di gestione Cai, dunque il valore si è ridotto di oltre 33 volte.
3) Nel frattempo si era accumulato un debito pari (guarda un po’) a circa un miliardo, con un rapporto tra debito e capitale proprio pari a 33. Di questo debito, circa due terzi è garantito da aerei, ma un terzo (300 milioni) è composto da esposizioni verso creditori (banche, aeroporti, fornitori, eccetera).
4) Già alla fine dell’estate scorsa (o forse anche prima) Air France-Klm aveva fatto notare che una compagnia con una leva così elevata non poteva andare avanti e che, quindi, prima di pensare a qualsiasi forma di rifinanziamento da parte dei soci (leggi aumento di capitale), bisognasse ristrutturare almeno la parte di debito ristrutturabile, cioè i 300 milioni. (1) Il concordato preventivo in continuità poteva essere lo strumento giuridico per affrontare la crisi debitoria, permettendo alla compagnia di essere ancora gestita da un vero e proprio management (e non da un curatore fallimentare), quindi con l’obiettivo di rimetterla sulle sue ali al più presto possibile. Solo dopo aver rinegoziato il debito, si sarebbe dovuto procedere all’aumento di capitale e il gruppo franco-olandese avrebbe potuto decidere di assumere il controllo della compagnia.
5) Si deve ipotizzare che il Governo italiano abbia ritenuto che l’Italia non poteva (o non doveva) politicamente permettersi, nel giro di soli cinque anni, una seconda procedura di gestione della crisi per la compagnia ancora ritenuta “di bandiera”. L’orgoglio politico nazionale ha quindi cavato goffamente dal cilindro la cassa di Poste Italiane per partecipare all’aumento di capitale senza previa ristrutturazione del debito. Sono state anche suggerite sinergie tra Poste e Alitalia che sono apparse subito risibili.
6) In conseguenza della scelta del Governo italiano e valutato che tale scelta avrebbe reso più difficile e lontana nel tempo la ristrutturazione del debito (le banche creditrici erano proprio quelle che avevano subito aderito all’aumento di capitale), Air France ha deciso di non partecipare all’aumento di capitale e di accettare la diluizione della sua quota dal 25 a circa il 5 per cento.

La ricerca del sacro partner

In tutti questi mesi, il Governo italiano non ha negato che l’unico destino possibile per Alitalia è quello di entrare a far parte di un grande gruppo internazionale. Ma non ha chiarito che un gruppo internazionale qualsiasi non fa al caso di Alitalia. La nazionalità di chi acquista sarebbe indifferente se ci fosse un regime di completa liberalizzazione dei cieli. Ma i cieli liberi sono ancora di là da venire e oggi le regole internazionali impongono che l’eventuale “cavaliere bianco sia un soggetto “comunitario” affinché l’Alitalia non perda i diritti di decollo sul territorio europeo e benefici degli accordi di open skies con gli Stati Uniti. Alcuni sostengono, poi, che affinché Alitalia possa essere “designata” negli accordi bilaterali con tutti paesi in cui non vige il regime di open skies, il controllo proprietario formale della compagnia debba rimanere italiano. Ne segue che compagnie come Etihad (o come Aeroflot o Air China) non potrebbero acquisire più del 49 per cento di Alitalia, affinché questa rimanga comunitaria o più del 44 per cento (dato il 5 per cento di Air France) affinché rimanga italiana. Naturalmente, si può acquisire il controllo manageriale anche con meno del 49 per cento o del 44 per cento, ma ciò che rileva è che, con un partner extra-comunitario, i soci italiani dovrebbero comunque mantenere un pacchetto di azioni molto più cospicuo di quello che dovrebbero tenere se fosse Air France-Klm (o Lufthansa) ad acquisire. In questo caso, il carattere comunitario non verrebbe comunque perso e, come accaduto proprio con Klm, una soluzione formalmente compatibile con “l’italianità”, qualora fosse davvero necessaria, sarebbe più facile da trovarsi.

Il piano industriale e il comma 22

Sul piano più strettamente industriale, da molte parti è stato detto che il principale problema di Alitalia è dal lato dei ricavi, anche a causa di una crisi italiana assai più grave del previsto – e forse del prevedibile nel 2008 – e della prepotente concorrenza dell’alta velocità ferroviaria sulla tratta storicamente più redditizia (la Milano Linate-Roma). I costi, al contrario, sarebbero sostanzialmente in linea con quelli dei più efficienti global carriers. Soprattutto dal lato dei ricavi, dunque, il piano industriale dovrebbe agire.

Alcuni dicono che il rapporto con Air France-Klm si sia incrinato proprio sul piano industriale, perché i franco-olandesi avrebbero preteso la rinuncia all’hub di Fiumicino per portare tutti voli di lungo raggio su Parigi Charles De Gaulle (Schiphol è praticamente saturo). La cosa non ha molto senso: nessuna compagnia aerea che si rispetti rinuncia a rotte che, se ben gestite, possono essere anche molto profittevoli, come quelle che collegano una delle grandi capitali del turismo mondiale con le origini dei maggiori flussi turistici. Il problema vero è che il lato dei ricavi è quello più strettamente dipendente dal fatto di essere compagnia integrata in un grande gruppo internazionale, con una precisa suddivisione dei “compiti” e delle rotte e con un management capace di gestirle e valorizzarle. Non va dimenticato che l’oligopolio europeo dei cieli è ancora caratterizzato da un consistente eccesso di capacità e che, in un simile contesto, un piano industriale da compagnia stand alone sembra avere scarse prospettive, soprattutto se la compagnia in questione è sotto-capitalizzata, e sovra-indebitata. Né c’è da pensare che le trattative con il partner tanto ricercato, che sia Etihad o altro, possano concludersi in tempi così brevi da influire sul piano industriale in corso di definizione. C’è dunque da aspettarsi che – chiunque accetti di sottoscrivere la quota dell’aumento di capitale cui Air France ha rinunciato – Alitalia si trovi nuovamente in crisi di liquidità alla fine di febbraio, vista anche la fisiologica riduzione dei ricavi nel periodo invernale.

(1) Va ricordato che la leva (L) è data dal rapporto tra attività (A) e capitale proprio (E=A-D): , mentre il rapporto tra debito (D) e capitale proprio (E) è uguale a L-1. Esiste dunque una relazione strettissima tra leva e debt to equity ratio.
(2) Etihad, per esempio, controlla già il 29,21 per cento di Airberlin, la seconda compagnia aerea tedesca, il 49 per cento di Air Serbia, la compagnia di bandiera serba e il 3 per cento dell’irlandese Aer Lingus. Proprio in questi giorni, inoltre, ha perfezionato l’acquisto del 33,3 per cento della svizzera Darwin Airline, che diverrà Etihad Regional.

Il dossier Alitalia a cura di lavoce.info