Ambiente & Veleni

Roma, Casilino: sfasciacarrozze e abusivi sull’antica Osteria romana

osteria-romana-centocelleLa via Casilina poco prima di incrociare via Palmiro Togliatti  ha due ampie corsie per senso di marcia. Al centro un guardrail, ai lati due paesaggi urbani, opposti. Come se si trattasse di due città differenti. Da una parte la nuova stazione della Metro C, denominata Parco di Centocelle. Quasi completata. Dall’altra un grande distributore di benzina, abbandonato. Nel piazzale antistante, di tanto in tanto, continuano a scaricare materiale edilizio da smaltire. Sul retro c’è stato a lungo uno dei campi rom più grandi d’Europa, il Casilino 900. Lo sgombero, recente, ha fatto piazza pulita dell’insediamento ma non di alcune baracche e roulotte che ancora rimangono. Tra montagne di spazzatura di ogni tipo.

Più avanti, quasi giunti al semaforo, inizia la serie di sfascia carrozze che proseguono, per un lungo tratto su via Togliatti. Al centro, alberi ed erba. Ailanti, pini marittimi, eucalipti ed anche un gelso. Sono dentro e fuori una recinzione sulla quale campeggia, reduplicato, il divieto di accesso per “scavi”. Il cancello di accesso, fronte strada, quasi non si riconosce, in gran parte nascosto da quel verde spontaneo. All’interno s’intravede appena una struttura composita, in abbandono da tempo. Per provare ad osservarne in maniera meno incerta i caratteri è necessario spostarsi sui lati. Nonostante le immondizie e, ancora, i materiali gettati, soprattutto sul lato più vicino a via Togliatti, si riconoscono i resti della cosiddetta Osteria di Centocelle. Si tratta di  una serie di ambienti, disposti intorno al corpo centrale, a pianta rotonda, relativi ad una struttura romana, riutilizzata variamente fino ad età moderna. Per l’interpretazione funzionale si oscilla tra la tomba, come suggerirebbe la vicinanza alla via Labicana, il tracciato antico perpetuato dalla moderna Casilina, e il ninfeo. Si vedono ancora le parti antiche in opera vittata di tufelli di tufo, almeno una finestra incorniciata dall’opera laterizia, tamponata in età moderna. Ma lo stato di conservazione è quanto mai precario. Le coperture in gran parte crollate, le murature antiche come anche quelle successive che gli si sono addossate, in più punti mostrano importanti lesioni. Anche, probabilmente, per le sollecitazioni impropriamente provocate da alcuni alberi di ailanto che le sono cresciuti quasi a ridosso.

Un monumento tutt’altro che trascurabile nella storia della topografia di Roma antica. A dispetto della colpevole incuria in cui si trova. Senza neppure un’indicazione che ne ricordi l’esistenza. A partire dal Seicento ha attirato l’attenzione di studiosi e vedutisti che ne hanno descritto e rappresentato, anche graficamente, le linee. A questi documenti, oltre che a qualche vecchia foto, si è ormai costretti a riferirsi, per avere un’idea meno sommaria del monumento. Che si trova ad una delle estremità del Parco di Centocelle, l’area naturalistica-archeologica a lungo reclamizzata anche dagli amministratori locali. Ma ancora, “soltanto”, una distesa di verde incolto punteggiata da un cospicuo numero di essenze.

Della questione dell’Osteria l’ex Municipio VII si è interessato. In diverse occasioni. Circa due anni fa l’area era stata bonificata. Poi, con una delibera del 17 febbraio 2012 era stato approvato un finanziamento di 300mila euro per il restauro, nell’ottica di un suo utilizzo “per attività connesse alla gestione del Parco”. Un intervento inserito nel “Programma straordinario di lavori pubblici per lo sviluppo locale”, promosso dalla Regione Lazio. A quanto sembra senza effetti.

 

Più di recente, anche a seguito della segnalazione di RomaToday, Michela De Biase, Presidente della Commissione Cultura in Consiglio Comunale, ha predisposto una mozione, discussa ed approvata nella seduta del 6 Novembre scorso, nella quale si chiede, tra l’altro, la bonifica del luogo e la valorizzazione del sito archeologico.

A stupire, sfortunatamente, non è solo la condizione nella quale si trova la struttura romana, ma la coincidenza che essa si trovi all’interno di un parco archeologico. Un’area nella quale i monumenti dovrebbero costituire il fulcro. L’elemento imprescindibile sul quale organizzare gli spazi, articolare i percorsi. Questo e molto altro continua a mancare. Forse anche perché si continua a pensare che gran parte del patrimonio archeologico, quanto è lontano dal centro, siano solo “pietre”. Vecchie, neppure antiche.