Cultura

Roma, al Museo in Trastevere gli ‘homeless’ di Lee Jeffries

Homeless- Lee JeffriesE’ l’emozione a guidare Lee Jeffries. Senza, nessuno dei suoi scatti avrebbe funzionato. Classe 1971, del Regno Unito, Jeffries ha lavorato come ragioniere alternando la professione con la passione delle corse sulla lunga distanza e l’amore per la fotografia. Una passione che lo ha portato a realizzare “Homeless”, un progetto già noto sul web e oggi anche una mostra fotografica che fino al 12 gennaio sarà esposta al Museo di Roma in Trastevere.

I soggetti di Lee Jeffries sono persone senza fissa dimora, emarginati, uomini e donne esclusi dall’attività sociale e incontrati per caso, camminando per le strade dell’Europa e degli Stati Uniti. Scatti intensi e fortemente comunicativi che, mi dirà il fotografo raggiunto per un’intervista, sono stati voluti per catturare lo spettatore sul piano umano. “Gli occhi – mi dice- mettono a fuoco le emozioni umane, parlano un linguaggio universale e rappresentano la verità; e mi piace pensare che sono riuscito a catturare qualcosa che colpisce perché le mie immagini non sono semplici ritratti ma tessere artistiche che vanno assemblate e che richiedono un’analisi per essere comprese”.

Immagini complesse e manipolate al pc, solo per accentuare il bianco e nero. “I computer sono la nostra moderna camera oscura. Detto questo io non voglio entrare in un lungo dibattito sul ‘processo’, che lascio discutere e valutare agli altri. Il mio scopo è stato quello di produrre un’immagine abbastanza potente da trascinare l’immaginazione dell’osservatore”.  Poi racconta come è nato “Homeless”, frutto di uno scatto rubato a Londra cinque anni fa. “Ero a Londra per correre la maratona. Il giorno prima della gara ero in giro, tra le strade di Londra, con la mia macchina fotografica e ho rubato uno scatto ad una giovane ragazza senzatetto, rannicchiata in un sacco a pelo dal lato opposto della strada. Appena se ne accorse cominciò a gridare contro di me. Sul momento ho pensato ‘o me ne vado o vado a parlarle’. Ho scelto di andare a parlare con lei e da quel momento ho cambiato per sempre il mio approccio alla fotografia. Questo incidente mi ha insegnato ad essere rispettoso e a non rubare le immagini senza autorizzazione”. Un ‘imprevisto’ che gli ha permesso, però, di creare anche un foto-progetto unico che racconta storie di sofferenza e disagio. Storie per immagini raccolte tra vie di Londra, Parigi, Roma, New York, Miami, Los Angeles o Las Vegas. “Un’esplorazione della spiritualità dell’essere umani – mi spiega- come un auto-esame di coscienza, sia per me che l’osservatore”.

E il primo intento etico di queste immagini è urlare l’ingiustizia. “Questo progetto porta un messaggio sociale di ingiustizia e sofferenza. Si tratta di fede, amore e compassione, qualcosa che riguarda tutti noi, e che va oltre all’essere dei senzatetto”.