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Reinventare l’Europa? E esattamente, perché?

Dal 10 al 12 ottobre si sono celebrate a Bruxelles (Palais de Beaux-arts- Bozar) le giornate organizzate dal giornale Le Nouvele Observateur con la collaborazione di alcuni tra i più importanti media europei, grandi aziende e gruppi industriali e le istituzioni europee. Il tema delle giornate era un desiderio: Reinventare l’Europa.

E l’invito enunciava alcuni punti critici che preannunciavano dibattito e scontro di opinioni: ‘Anno dopo anno le persone si disinteressano dell’Europa. Anno dopo anno il continente resta confinato nella stagnazione economica e la disoccupazione di massa. Anno dopo anno, si mette in dubbio sempre di più che l’Unione Europea sia capace di uscire dalla sua apatia e giocare di nuovo un ruolo sulla scena internazionale. (…). Disincanto dell’opinione pubblica, che sperava nella protezione dell’Europa e non riceve nient’altro che richieste e domande di sacrifici? E’ tempo di reagire’. E l’appello terminava con una richiesta carica di senso e passione: Reinventiamo l’Europa!

Per farlo avevano convocato più di 20 tavole rotonde e circa 100 specialisti di tutte le aree e settori. Tra loro alcuni dirigenti di primo livello e direttamente responsabili delle politiche europee: Van Rompuy (Presidente del Consiglio Europeo); Felipe Gonzalez o Luis R. Zapatero; Joaquin Almunia (Commissario europeo della concorrenza); Mario Monti, Guy Verhofstadt, Hubert Védrine, Pascal Lamy, Michel Onfray e altri.

Per tutte le attività c’è stato il pienone nelle sale e le giornate hanno avuto grande impatto mediatico sia in Belgio che in Francia.

Ma la questione è: chi si stava convocando per porre domande sulla possibilità di una reinvenzione dell’Europa e con quali obiettivi.

Dall’inizio attiravano l’attenzione quattro cose significative: in prima luogo, lo squilibrio nella rappresentazione di genere: appena 10 donne tra quasi un centinaio di partecipanti. La seconda, che la rappresentanza politica delle giornate di dibattito era circoscritta alla socialdemocrazia e al centrodestra; nessuna rappresentanza della sinistra alternativa; una deputata dei verdi belga e un deputato del Partito per l’Indipendenza del Regno Unito.

La terza è la sovrarappresentanza delle imprese a confronto con la rappresentanza sindacale. Era presente solo la Segreteria Generale della Fgtb belga ad una tavola rotonda alla quale ha partecipato anche il commissario europeo del Lavoro (László Andor) e il rappresentante del gruppo GDF-Suez (Gérard Mestrallet).

La quarta è che c’era appena una presenza dei rappresentanti – di qualunque livello e forma – dei paesi dell’Europa centrale e orientale.

La rappresentanza delle voci critiche che si oppongono in varie forme alle politiche promosse dalle istituzione dell’Ue con la connivenza della maggior parte dei governi, restava riservata ad alcuni intellettuali e accademici, come se l’aspetto critico si riducesse soltanto allo spazio della rappresentanza della riflessione ma non della politica. Come dire che per reinventare l’Europa si chiamava alla riflessioni gli stessi che hanno prodotto il disincanto e lo scontro che è alla base della preoccupazione che spinge a convocare le giornate di incontro. Singolare paradosso.

Si potrebbe presumere, nonostante questo, che le evidenze della realtà porterebbero a considerare con un certo realismo e veridicità la situazione.

Dando per buono perfino che i rappresentanti delle istituzioni europee difenderebbero il loro lavoro, che i rappresentanti delle imprese domanderebbero che ne sarà delle loro istanze e i responsabili di governo si nasconderebbero dietro i piccoli segni di ripresa.

Ma i dibattiti hanno dimostrato fino a che punto il mainstream europeo manchi di un’analisi globale della situazione e di un progetto strategico per il futuro. Da Van Rompuy a Monti, o lo stesso Delors – uno dei più critici sulla situazione attuale – hanno difeso in vari modi il progetto di integrazione europeo senza scomporsi. Van Rompuy diceva che prima di reinventare l’Europa si deve salvare il progetto europeo; e Monti che ciò che non ci si deve assolutamente inventare è il modello stesso d’Europa; e lo stesso Deflor affermava la sua convinzione nella validità del metodo comunitario.

Gli aspetti critici segnalati da Felipe Gonzalez, Zapatero o Guy Verhofstadt si riferivano alle colpe della Germania, le insufficienze della Bce o la perdita dei tradizionali valori europei. Ma nessuna riflessione sulla relazione che potrebbe esistere tra l’architettura europea e la gestione della crisi economica, per esempio. E men che meno una riflessione critica su quello che questi rappresentanti hanno fatto quando hanno avuto responsabilità di governo. Come succede spesso con un ex responsabile politico, nessuno avrebbe detto, ascoltando Zapatero, che sia stato presidente del governo spagnolo per due legislature.

Ci sono stati altri punti critici che sono però rimasti circoscritti all’asse crescita-austerity. Per i rappresentanti della socialdemocrazia, ma anche per i rappresentanti dei settori imprenditoriali e industriali, la ricetta dell’austerity sta deprimendo il sud Europa, senza che si riesca a vedere i risultati di tanti sacrifici. Pascal Lamy ha mosso, ad esempio, la critica più consistente, da una prospettiva socialdemocratica, alla politica di austerity: ‘Senza crescita economica, lo stato sociale europeo e per tanto il modello europeo, è impossibile e impraticabile. Ma nessuna idea di cosa potrebbe significare la crescita d’ora in poi e come renderla compatibile con il problema dell’ecologia.

Da parte del centrodestra, autosoddisfazione e esigenze più dure rispetto alle politiche dei tagli, ecc. L’idea centrale in questi discorsi è che non ci troviamo di fronte ad una crisi europea, ma staremmo davanti ad una crisi finanziaria e degli stati del sud Europa che hanno gestito male le proprie risorse economiche. Addirittura si è arrivati ad affermare – Didier Reynders, vicepremier belga – che il settore finanziario già ha pagato i suoi errori e che lo avrebbe fatto senza ripercuotere i costi sui contribuenti. O Yves Leterme, segretario generale aggiunto dell’Ocse, ha difeso le politiche di rigore in quanto esigenza ineludibile dei mercati che si deve soddisfare. Anche il tema dell’immigrazione è stato toccato in due modi: come ricordo dell’accaduto a Lampedusa e come problema, questo è tutto. Nessun rappresentante istituzionale dell’Europa ha detto una parola sull’argomento.

Si sono levate alcune critiche tra scrittori e intellettuali o tra alcuni accademici. Lo scrittore belga più famoso, Eric-Emmanuel Schmitt, ha incolpato il mercato e lo spirito del mercato del fallimento del sogno europeo; cose simili sosteneva anche Michel Onfray, che si interrogava sul senso della richiesta di reinventare l’Europa: ‘Non si reinventa un agonizzante’ diceva. Michel Piketty o Paul de Grauwe facevano notare questioni come la crescita delle disuguaglianze o i costi sociali delle politiche di austerity.

Una preoccupazione generale in questo pensiero dominante è l’incremento inaspettato delle alternativepopuliste’ alle prossime elezioni europee. Si deve dire che chiamano così tutte quelle opinioni che portano avanti il processo di integrazione europeo in generale – la maggior parte di estrema destra -, o che criticano la deriva attuale dello stesso processo e chiamano ad una rifondazione – la maggior parte di sinistra alternativa -. Ma nessuna riflessione che potrebbe mettere in relazione l’aumento di queste istanze politiche antieuropeiste con le politiche che la stessa Unione Europea promuove o difende.

Alla fine, l’insieme di opinioni, riflessioni e domande, considerando che lo spettro programmatico e ideologico che le giornate riflettono attiene alle due grandi famiglie politiche che hanno diretto il processo di integrazione europeo così come lo conosciamo, ci permette di dedurre alcune conclusioni che vedremo dimostrate nei prossimi mesi, al calore del dibattito relativo alle elezioni per il Parlamento Europeo.

La prima conclusione è che quelli che sono stati finora i principali attori della costruzione europea sul piano politico e sociale, sono coscienti della perdita di vitalità del patto con i cittadini e dell’apparizione di portavoci di queste critiche. Detto questo, la presa di coscienza della situazione non sembra tradursi in nessuna proposta politica concreta né in alcuna richiesta esplicita di una cambio di strategia. I commissari europei presenti al dibattito (Almunia tra questi), si sono dedicati a giustificare la Commissione, a scaricare le responsabilità sugli altri stati e a negare la responsabilità maggiore: che loro stanno difendendo le politiche dei tagli.

La seconda conclusione è che il processo di integrazione si è politicizzato in maniera irreversibile, questo significa che sono state aperte fessure importanti nella coalizione dominante che finora gestiva il processo e che non c’è un accordo chiaro rispetto a che cosa fare d’ora in poi. Questa incertezza e la crisi nella coalizione dominante apre uno spazio di opportunità politica di cui si può approfittare. Il matrimonio sacro tra la democrazia cristiana o il centrodestra e la socialdemocrazia è in pausa e in aperta crisi. Non è scritto da nessuna parte che questa crisi debba concludersi con una rottura, ma neanche che riprenderà come è stato finora. Il che significa che se è avvenuta la crisi e si facesse più profonda in un prossimo futuro l’articolazione del dibattito sul progetto europeo si sposta sull’asse sinistra-destra.

La terza questione è che c’è la richiesta di un discorso critico che sia capace di restituire l’illusione. Una delle cose più interessanti delle giornate di incontro è la forte presenza dei giovani. E’ possibile che ci sia una spiegazione congiunturale o circostanziale, ma la cosa certa è che la generazione post-universitaria è stata, finora, la più europeista e ambiziosa nella sua richiesta di un progetto europeo. Attualmente vive nella disillusione e rivendica risposte senza negare la condizione europea delle sue aspettative.

C’è bisogno di reinventare l’Europa e le condizioni per farlo, ma non sono cose possibili alla portata di coloro che sono stati responsabili della distruzione con i cui resti ci scontriamo quotidianamente. Per questi, reinventare l’Europa è la prosecuzione dell’incubo nel quale viviamo.

di Pedro Chaves Giraldo (Membro di econoNuestra e professore dell’Università Carlos III di Madrid)

(Traduzione dallo spagnolo di Alessia Grossi)