Cultura

Via Dante Manfredi – La storia siamo noi/2

(continua dalla prima parte)

Mentre Dante Manfredi cercava aiuto per riuscire a interrompere la fuga di suo figlio e dei suoi amici, a Gattatico era successo e stava succedendo di tutto. Era il 9 settembre: la notizia dell’armistizio non doveva ancora essere giunta ai Carabinieri di stanza nella caserma di Praticello di Gattatico, quando, al mattino, un drappello di soldati della Wehrmacht bussò alla porta. Andò ad aprire il giovane milite Giovanni Magrini, che reagì all’assalto e rilanciò verso i nazisti una bomba a mano, uccidendo il comandante. La caserma resistette all’assalto e Magrini, ferito a un braccio, riuscì a mettersi in salvo solo dopo aver visto ripiegare i soldati tedeschi (la nostra caserma oggi è intitolata a lui). Magari qualcuno s’era illuso che con l’armistizio la guerra potesse finire; invece era iniziato il periodo più atroce dell’occupazione nazista, che spesso vedeva, al suo fianco, proprio quei repubblichini fedeli a Mussolini che sapevano tutto di tutti, in paese.

La famiglia Cervi fu tra i primi a farne le spese. Chiunque in paese conosceva le idee dei Cervi. Qualche mese prima, furono loro a organizzare una “pastasciuttata” per tutti, in piazza, per festeggiare la caduta del fascismo. C’era così tanta gente che avevano cotto la pasta dentro una caldaia di rame che in genere serviva per la lavorazione del parmigiano-reggiano. La casa dei Cervi venne circondata il 25 novembre 1943 e, dopo che i fascisti incendiarono il fienile, i fratelli Cervi insieme al papà Alcide e a due militari rifugiati, Quarto Camurri e Anatolij Tarasov, si consegnarono ai fascisti per salvare il resto della famiglia. La fine che fecero i sette fratelli e Camurri, la sanno tutti.

In Paese regnava il terrore. I fascisti, per entrare nelle grazie dei nazisti, non esitavano a denunciare i propri concittadini, anche se solo sospettati di essere antifascisti e, peggio ancora, di essere in contatto con i partigiani. Probabilmente quel clima non era piaciuto a Dante Manfredi, che, secondo me, non voleva più stare dalla parte in cui aveva militato per anni. Aveva chiesto aiuto a tutti, anche al mio bisnonno – quello dalla parte di mia mamma, che era pure lui un fascista e gli era stato al fianco negli anni da podestà – affinché riuscisse a riportare suo figlio a casa. Non si sa bene cosa accadde, e io non mi attento a chiederlo al mio amico coinvolto nella fuga, ma, alla fine, tutti e tre furono riaccompagnati nelle rispettive famiglie. I ragazzi, secondo me, si erano incazzati da bestia e lo restarono per un bel po’.

Trascorso all’incirca un anno da quegli eventi, Gattatico rimaneva un punto focale della resistenza reggiana e, di conseguenza, le “attenzioni” dei nazisti e dei fascisti continuavano a essere all’ordine del giorno.
Il 4 novembre 1944 bombardano il ponte della ferrovia e la ferrovia. Il casello ferroviario, che distava 200 metri dalla Bertana, è stato raso al suolo (dalle “Cronache e memorie di parrocchie 1919-1965”). Mio nonno Onelio prese sicuramente uno spavento della madonna!
Il 7 novembre al mattino, per tempo, si sparge la notizia che ieri sera, verso le ore 10, una banda di armati e mascherati ha dato l’assalto alla Caserma della Milizia di Praticello e sono stati assassinati sei militi e la guardia comunale (dalle “Cronache e memorie di parrocchie 1919-1965”).

Gli armati e mascherati, che il prete non si è attentato a nominare, in realtà sono “i partigiani della pianura” – come scrive Istoreco – e questa volta l’avevano fatta grossa: avevano assalito la caserma e ucciso tutti i militi, compresa la guardia comunale, Cagnolati, che era il papà di mia zia Franca (così ho capito perché a lei i partigiani non erano mica tanto simpatici). In effetti dovevano averla fatta grossa davvero, perché anche l’Anpi di Reggio si incazzò molto per quell’azione. Vai a capire cosa accadde… Erano quasi tutti dello stesso paese… e, certo, sarebbe bastato prendere le armi. Sempre dalle “Cronache e memorie di parrocchie 1919-1965”:

L’8 novembre al mattino, per tempo, si viene a sapere che ieri nel pomeriggio un gran numero di militi delle Brigate nere si è recato nel Comune di Gattatico e ha proceduto, per rappresaglia, a numerosi arresti di persone del luogo: fra questi, molti appartengono alle migliori famiglie. Tre delle persone arrestate vengono fucilate sul posto. La morte più raccapricciante e che ha suscitato lo sdegno e la disapprovazione generale, è stata quella di Dante Manfredi, ex Podestà del Comune di Gattatico, che resse le sorti del Comune stesso per quindici anni: il rimpianto è generale, trattandosi di persona buona e mite. Le altre due vittime sono due fratelli del Capoluogo. Alcuni sfuggirono la medesima sorte di questi tre, perché riuscirono a eclissarsi in tempo. Gli arrestati furono portati a Reggio e, dopo sommaria interrogazione, furono poi rilasciati. Molti di essi furono battuti in modo inumano. Il giorno 9 intervenne il Comando tedesco con discreto numero di soldati a porre fine alle rappresaglie. Non furono permessi funerali solenni alla salma del Manfredi. I funerali dei due fratelli furono fatti solenni perché permessi dall’autorità tedesca e tutelati dalla stessa. Pare sia ritornata la quiete. Ma qualcuno dei ricercati è ancora uccel di bosco.

Così è stato ucciso, insieme ai fratelli Gennaroli (partigiani, che hanno un’altra storia da raccontare), Dante Manfredi. Impossibile che non sapessero chi fosse. Impossibile che non sapessero la scelta che aveva avuto il coraggio di compiere. Anzi, io sono convinto che sia stato proprio per quella scelta, fatta da una persona per bene, importante e rispettata, che Dante Manfredi sia stato ucciso dai fascisti repubblichini e lasciato lì, nel campo, in fondo “alla Stradella”. In Paese – come ho detto – regnava il terrore, nonostante quanto scritto dal prete (“Pare sia ritornata la quiete”)! Tutti avevano una paura boia e nessuno metteva il naso fuori di casa. Si aveva paura dei rastrellamenti e nessuno sapeva nulla della trentina di persone portate al carcere dei Servi, a Reggio. Conosciamo bene il genere di torture che erano capaci di fare i fascisti, e il carcere dei Servi è già tristemente noto per questo.

La fine della Stradella, dista circa 5 chilometri dalla Bertana, dove i miei erano casanti. Là, a casa di Dio, in mezzo ai campi, c’era il corpo di Dante, fratello di Achille Manfredi. A mio nonno Onelio non so cosa passò per la testa, ma di notte uscì di casa, tirò fuori dal portico “la cariasa”, che è un carro con i manici lunghi, si incamminò a piedi con il tabarro addosso, arrivò fino quasi a Praticello di Gattatico, caricò il corpo di Dante, lo coprì con un panno e lo portò fino a casa. Mah – ripeto – chissà cosa gli passò per la testa! Quelle sono tutte strade basse, ancora oggi semideserte. Chissà a quanti rumori, quanti fruscii, quanti versi di bestie, lui sarà saltato per aria cagandosi addosso dalla paura… però alla fine riuscì a portare il corpo di Dante da suo fratello, in modo che potessero dargli una degna sepoltura.

Mio nonno Onelio, il fifone, ha fatto una cosa di cui io, che non c’entro niente e che non ho neanche un po’ del suo sangue dentro, vado molto fiero tutte le volte che passo per Via Dante Manfredi.