Cultura

Libri, ‘La moglie’ di Jhumpa Lahiri, storia di famiglia e di solitudine

E’ semplicemente magnifico La moglie, il nuovo romanzo di Jhumpa Lahiri, (scrittrice americana di origini bengalesi, premio Pulitzer del 2000), che è appena entrato nella shortlist del Man Booker Prize. Incanta innanzitutto il passo della scrittura: a grandi falcate, eleganti e calme, Jhumpa Lahiri copre quarant’anni di storia, due continenti e i destini interi, completi, di tre personaggi. Ma questo grande disegno non si mangia mai i dettagli, quelli più minuti, così importanti per entrare a fondo nelle vicende umane.

C’è uno sfondo politico interessante, perché, in un certo senso, racconta gli anni di Piombo indiani, gli stessi anni Settanta che abbiamo vissuto noi, però a Calcutta, fra slanci rivoluzionari e terrorismo. Ma il discorso politico, perfettamente calibrato, per quanto centrale, non prevarica mai sull’individuo e sull’imprevedibile complessità dei drammi personali. E c’è un mondo immenso dietro, perché la storia si muove fra Calcutta e il Rhode Island, ma questa vastità è tenuta sotto controllo dalla letteratura, che circoscrive gli spazi con nomi precisi: di piante o di uccelli o di spezie. Tutto contribuisce alla definizione dei paesaggi, perfino il cielo non è lasciato al caso, che sia un temporale a raccontarlo o la luce calda di un tramonto, c’è sempre una tonalità esatta e inconfondibile a segnare la differenza.

Innamora proprio questo, nel romanzo: osservare il continuo dialogo fra uno slancio lungo e le piccole mosse esatte. Come davanti a una partita di tennis: vedi un colpo che va a fondo, diagonale e pulito, ma ti accorgi che succede grazie a tante impercettibili contrazioni muscolari, che portano fin lì.

Al di là del grande disegno, La moglie è una storia familiare, o una storia di solitudini dentro una vicenda familiare. Subhash e Udayan sono due fratelli, molto uniti, che crescono a Tollygunge, un quartiere di Calcutta. Già nell’infanzia è evidente che hanno personalità diverse, che possono portare solo a destini diversi. Li vediamo bambini, intenti a scavalcare una recinzione per entrare di nascosto nel Tolly Club, il circolo di golf riservato agli inglesi, e poi ventenni, sempre di fronte al mondo occidentale, ma non più insieme: Subhash che vuole studiare in America e Udayan che, entrato nel partito comunista indiano dei naxaliti, un partito maoista e rivoluzionario, progetta ordigni esplosivi da posizionare proprio nel Tolly Club.

Anni dopo, Subhash viene richiamato dal Rodhe Island perché il fratello è stato ucciso dalla polizia. Della loro vita comune resta poco, solo una radio costruita insieme, ma nella casa dei suoi genitori c’è Gauri, la giovane moglie di Udayan, costretta a vivere a lutto dal tradizionalismo degli suoceri, anche se è incinta. Per liberarla, Subhash decide di sposarla e di portarla con sé in America. E Gauri diventa la moglie di entrambi i fratelli. Subhash cresce Bela, la figlia di Udayan, come se fosse sua, senza rivelarle la verità e cerca di dare a Gauri tutto quello che non ha potuto ricevere dal fratello. Ma il passato lavora silenziosamente su tutti loro, travolgendoli.

Jhumpa Lahiri, altrettanto silenziosamente, segue questo dramma, senza giudicare nessuno. Grande narratrice, sta sempre un passo indietro rispetto ai suoi personaggi, ma solo per entrare in loro meglio e restituirceli più liberi, a dispetto della storia che li opprime.