Politica

I dubbi di B: “Non è che abbiamo fatto una cazzata con queste dimissioni di massa?”

Nelle ore dopo la decisione degli eletti del Popolo della libertà della licenziarsi dal Parlamento nel caso in cui il Cavaliere decadesse da Senatore, vengono a mancare molte certezze. E tra pranzi e incontri cresce il malcontento per una scelta che piacerebbe a pochi

Quel piatto, esangue, non cambia mai aspetto: pieno, e triste. La pasta non va giù, per niente. Il prosciutto provoca acidità. Soltanto la dieta, involontaria, procede bene. A pranzo con Gianni Letta e Niccolò Ghedini, e con il mal di stomaco per il comunicato di Giorgio Napolitano, Silvio Berlusconi ha cercato rassicurazioni dai commensali: “Non è che abbiamo fatto una cazzata con queste dimissioni di massa?”. Anche le rassicurazioni restano lì, solitarie e tristi, davvero tristi. Perché il Cavaliere, archiviato lo sfogo di un’ora e mezza a Montecitorio, ha un pensiero fisso: l’arresto a palazzo Grazioli o in villa San Martino appena decaduto dal Senato, un mandato da Napoli o da Milano. Il Quirinale ha ripetuto in pubblico quello che aveva spiegato al segretario Angelino Alfano in privato: non possiamo garantire sui magistrati e sui giudici. L’uomo emaciato e depresso, però, raccatta sempre un briciolo di forza per insultare Napolitano e per non ritirare lo scontro: “Questi mi vogliono distruggere, non ha senso restare al governo anche se il Colle non ci manderà a votare con questa legge elettorale. Non c’è nulla da chiarire con Enrico Letta. Non dovrò illustrare io agli italiani i motivi di questa crisi”. Tra Camera e Senato, i berlusconiani vagano con la determinazione di chi s’è licenziato, di fatto, ma non sa neppure quando e non capisce, soprattutto, perché. E allora la dieta, il piacere di un etto di troppo, è l’unica consolazione.

Gli gnocchi di Fitto e le burla di Sposetti
A Montecitorio, il mutismo di Raffaele Fitto s’interrompe davanti a una cima di gnocchi con il pomodoro freschissimo e la mozzarella filante: “È vero, io sto cercando di dimagrire. Ma non posso parlare, non posso commentare, quindi mi concedo qualcosa di buono”. I capigruppo Renato Brunetta, più spigoloso del solito e Renato Schifani, più infuriato che mai, ordinano di telefonare ai colleghi, di strappare adesioni e di firmare foglietti in bianco, cioè senza data, destinati ai presidenti di Camera e Senato. Non per oggi, non per domani, ma per quel giorno di lutto nazionale per l’uscita da Palazzo Madama del condannato Silvio Berlusconi. I deputati e i senatori, spento l’entusiasmo di mercoledì 25 settembre, definiscono la sceneggiata una “mozione d’affetto” per Berlusconi. Anche perché la procedura non permette le dimissioni di massa, ma uno alla volta dovranno chiedere e ottenere l’approvazione in aula. E così Ugo Sposetti, l’ex tesoriere Ds notoriamente bravo a far di conto, scherza con gli alleati di Forza Italia: “Senti, ti potrei salvare. Invece quel tuo amico lo mando a casa”. Partito democratico e Movimento Cinque Stelle potrebbero decidere di trattenere o cacciare Gasparri, Cicchitto e compagni. Già, Fabrizio Cicchitto. Se pure il fedelissimo ex socialista contesta la strategia del Capo, per verità l’ideona è di Brunetta, vuole dire che Forza Italia più che imbarazzare Colle e Pd ha imbarazzato se stessa. Maurizio Gasparri è amletico: “Comprendo chi all’inizio non se le sentiva. La prima legislatura è un rischio, qualcuno può temere di non tornare”.

Il ministro per le Riforme s’allontana dal partito
Mentre Brunetta e Schifani si gettano contro il Quirinale (“La definizione di colpo di Stato è giusta”), Gaetano Quagliariello e Daniela Santanchè litigano a distanza. Il ministro per le Riforme, che non ha apprezzato la pantomima di Montecitorio e che non ha interrotto i contatti con il Quirinale, dà una lezioncina al partito: “Le dimissioni non s’annunciano, si danno”. La Santanchè gli salta addosso: “Le abbiamo date, forse non ha inteso”. Nemmeno ieri sera, però, Quagliariello le aveva date. E l’inedita e ben assortita coppia Brunetta e Schifani s’è precipitata in televisione a rendicontare l’operazione. Brunetta: “I 97 deputati hanno risposto con un atto d’amore per Berlusconi”. Schifani: “Siamo a 87 su 91. Sì, anche Scilipoti è dentro”. Sì, Scilipoti preoccupava. Anche se Giovanardi e Compagna non vogliono partecipare perché hanno un movimento in proprio, in comunione di beni, e si chiama Popolari Liberali Solidali. Dunque, non vale la pena sottolineare quanto Giovanardi sia solidale con il Cavaliere.

La rabbia di Confalonieri e la fine dell’impero
I vertici di Mediaset, da Fedele Confalonieri in giù, non sopportano più le provocazioni e le tattiche dei vari Santanchè, Verdini e Brunetta: li detestano. E chiamano il Capo per farlo ragionare: “Se rompi con Letta non conti più nulla. Tu sei finito, il tuo impero è finito”. Di moduli per le dimissioni, però, ne sono stati compilati decine in meno di quanti trionfalmente annunciati. Non importa. È pur sempre una finzione. Che sarà manifestazione di piazza il 4 ottobre. Il giorno di una delicata e decisiva seduta pubblica in Giunta per le elezioni al Senato. Berlusconi vorrebbe andare lì è recitare la parte del prigioniero politico, nel senso proprio di prigione. Ogni giorno, accanto a Francesca e Dudù, si sveglia e si rivede in galera.

La paura di non essere rieletti
Dimissioni annunciate sperando che non accada. Il clima tra le colombe, le anime più moderate dentro il Pdl che ancora confidano nella tenuta del governo delle larghe intese, è quello di un rassegnato scongiuro perché l’inevitabile non si verifichi. Il pensiero di chi non nasconde i mal di pancia è di perdere il posto in Parlamento: “Perché devo rifare tutta la campagna elettorale? La pensione? Il minore dei problemi. Conta di più la poltrona, la posizione di potere. Insomma come diceva Andreotti, il potere logora chi non ce l’ha”, dicono nei corridoi secondo quanto riportato da Il Giornale. Antonio Razzi, ex Idv finito nel Popolo delle libertà, confida: “Io finirò in mezzo a una strada. Sto pagando ancora il mutuo che non mi ha pagato Berlusconi. Lui non mi ha comprato, mi ha dato la sua fiducia. Ma ho già consegnato le dimissioni. Non ho pensato al futuro. Eppure io sono il più disperato”. Tra i tanti deputati e senatori costretti al “folle gesto” c’è anche chi come Antonio Martino, titolare della tessera numero 2 di Forza Italia, si è licenziato per affetto, come riporta Libero, convinto che tanto non saranno mai accettate. O almeno così sperano in tanti.

Da il Fatto Quotidiano del 27 settembre 2013
(aggiornato dalla redazione web)