Diritti

Premier league, poche adesioni di calciatori e squadre alla campagna anti-omofobia

L’associazione per i diritti Lgbt Stonewall aveva invitato i giocatori a vestire nelle partite del weekend dei lacci colorati arcobaleno sulle scarpette da gioco. Ma tra veti diretti delle squadre, anche per motivi "pubblicitari" e scarsa convinzione dei giocatori, alla fine solo una minoranza ha risposto all'appello

Timori, ipocrisie, accuse di fare pubblicità occulta e di utilizzare un linguaggio stereotipato, e la campagna contro l’omofobia nel calcio inglese sui rivela un flop clamoroso. L’associazione per i diritti Lgbt Stonewall – il cui nome rievoca la storica battaglia del Greenwich Village nel 1969 – pochi giorni fa ha invitato i giocatori della Premier League a vestire nelle partite del weekend dei lacci colorati arcobaleno sulle scarpette da gioco. Ma alla fine in pochi hanno aderito. Sabato giusto qualche giocatore, l’allenatore del Newcastle e un paio di commentatori televisivi hanno indossato le stringhe arcobaleno. Domenica Manchester United e Tottenham hanno impedito ai propri calciatori di utilizzarle, mentre le altre squadre hanno lasciato libertà di scelta, tendendo comunque verso il no. I motivi del boicottaggio sono stati diversi.

Dapprima alcuni club hanno spiegato come i laccetti fossero stati recapitati solo pochi giorni prima delle partite, senza che Stonewall li avesse contattati in precedenza per spiegare il significato della campagna. Poi, alle prime critiche, gli stessi club hanno detto che il no era dovuto al fatto che questa campagna sia stata patrocinata da una nota agenzia di scommesse, e che quindi si sarebbe trattato di fare pubblicità gratuita a questa azienda. E a dimostrarlo ci ha pensato l’Everton, che da questa agenzia di scommesse sportive è sponsorizzato, chiedendo a tutti i suoi giocatori di indossare i laccetti colorati. Infine c’è stato chi non ha aderito alla campagna a prescindere, come il West Ham, che ha dichiarato che i laccetti potevano urtare la sensibilità religiosa di alcuni suoi giocatori.

La Premier League sta cercando di organizzare da tempo apposite campagne, supportate dal Governo e dalla federcalcio inglese. Ma quest’ultima dei laccetti colorati è nata tra le polemiche. Non solo i problemi organizzativi e la sponsorizzazione più o meno occulta, ma anche uno slogan “right behind the gay players” che può essere letto come “tutti insieme ai giocatori gay” e “tutti dietro i giocatori gay”. Una chiara allusione sessuale che non è piaciuta a molti, tra cui gli attivisti di Football v. Homofobia che hanno detto: “Ci dissociamo da una campagna che mentre cerca di cambiare la cultura omofoba del calcio utilizza un linguaggio caricaturale che ne rinforza gli stereotipi”. A ricordare che nello sport, e nel calcio in particolare, l’omosessualità è ancora il tabù supremo.

Se c’è ancora qualcuno, come l’ex c.t. Marcello Lippi, che sostiene che nel calcio “non esistono giocatori omosessuali”, altri, tra cui il capitano della nazionale tedesca Philipp Lahm, hanno recentemente spiegato come per evitare discriminazioni nello spogliatoio un giocatore gay non dovrebbe dirlo nemmeno ai compagni di squadra, figuriamoci in pubblico. Negli ultimi anni ci sono stati i coming out dello svedese Anton Hyesen e dell’americano Robbie Rogers. Ma a smentire statistiche altrimenti ovvie a livello numerico, nessun altro calciatore professionista al mondo ha mai dichiarato pubblicamente la propria omosessualità. Primo e per ora unico giocatore a farlo nel calcio inglese, e unico tra i calciatori di un certo livello, fu negli anni ‘80 Justin Fashanu: immediatamente ostracizzato dall’intero mondo pallonaro e falsamente accusato di violenza, si suicidò pochi anni dopo impiccandosi nel garage di casa sua.

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