Politica

L’attacco di Alfano a Rodotà, ennesimo segno di decadenza politica

Si sa che la “nostra” classe politica è da tempo alla frutta, risultando totalmente incapace di concepire un progetto non dico di rinascita ma di sopravvivenza dell’Italia, Paese in caduta verticale e i cui asset più importanti, giovani cervelli compresi, sono in fuga o in svendita.

Alfano, noto sottopancia del pluriinquisito Berlusconi, ne è un esponente davvero esemplare. L’unico episodio degno di nota del suddetto alla guida del ministero degli interni è stato il pastrocchio Ablyazov che ci ha coperti di vergogna di fronte al mondo intero. Per il resto Alfano, salvato in tale occasione dalle doverose dimissioni dall’improvvido intervento del presidente della Repubblica, si è atteggiato più che altro a megafono del pluriinquisito e ha scaldato senza alcun costrutto la sedia di ministro, con il beneplacito di Letta e Napolitano. Un bilancio sostanzialmente negativo, come quello di tutto il governo che ne fa parte, con l’aggravante di utilizzare il suo scranno ministeriale per farsi eco delle periodiche lamentele e ricatti vari di Berlusconi.

In difetto di altri argomentazioni basate su dati di fatto, che in qualsiasi modo dimostrino la positività del loro operato, questi politici incompetenti agitano come sempre lo spauracchio del terrorismo. Lo fece qualche tempo fa l’improbabile Sacconi. Lo fa oggi Alfano, distorcendo in modo inaccettabile alcune dichiarazioni di Stefano Rodotà. Che il ministro non sia un genio lo si è capito da tempo, ma per dare alle parole di Rodotà un senso diverso dall’inequivocabile condanna del terrorismo non basta l’incapacità di intendere, ci vuole anche una buona dose di malafede.

Rodotà viene attaccato non solo perché è un giurista di alto livello che ha sempre tenuto alta la bandiera dello Stato di diritto, ma anche perché, dopo che le tristi faide interne al Pd lo hanno privato della magistratura suprema cui ben poteva aspirare, è oggi la figura di riferimento dell’ampio movimento che si oppone allo snaturamento della nostra Carta costituzionale, che Letta&Co. vorrebbero deformare e in ultima analisi distruggere, modificando il meccanismo di revisione di cui all’art. 138.

Il punto è stato colto con chiarezza dai giuristi democratici che hanno approvato oggi il seguente comunicato: “L’Associazione nazionale Giuristi Democratici esprime la massima solidarietà a Stefano Rodotà, vittima di una grave aggressione da parte del Ministro Alfano, che strumentalizzando una dichiarazione del Prof. Rodotà – preoccupato per l’interesse espresso da due brigatisti rossi nei confronti della questione TAV– ha ignobilmente accostato lo stesso alle Brigate Rosse, paventandone l'”inquietante” ingresso nella schiera dei “cattivi maestri”, con un’operazione subito mediaticamente amplificata dai quotidiani “Il giornale” e “Libero”.

Ciò che invece risulta veramente inquietante in questa vicenda è il tentativo, vano ma compiuto con subdola malafede, di delegittimare l’impegno in prima persona del Prof. Rodotà per la costruzione di un fronte largo per la salvaguardia della Costituzione dai colpi di mano che la maggioranza di Governo sta tentando di apportare. Impegno che continua a guadagnare consensi, ma che evidentemente, in maniera simmetrica, preoccupa chi vede la partecipazione popolare come un ostacolo alle proprie inconfessabili mire. Ragione in più, per la nostra Associazione, per confermare il sostegno a Stefano Rodotà e a tutti i sottoscrittori dell’appello “Costituzione: la via maestra” e lo sforzo per la piena riuscita di tutte le mobilitazioni in programma”.
Una ragione di più quindi per partecipare in massa alla manifestazione prevista per il 12 ottobre e per aderire all’appello lanciato dal Fatto. Condannando ogni tentativo del terrorismo, sconfitto, in Italia come altrove, dalla storia, di inserirsi nelle sacrosante lotte democratiche e sociali, e ogni patetico intento di strumentalizzazione da parte di personaggi come Alfano, la cui stessa presenza ai vertici del governo italiano rende chiaro a chiunque quanto sia caduto in basso il nostro disgraziato Paese.