Politica

C’eravamo tanto Amato

Nel regno monarchico nel quale ci ritroviamo l’ultimo tassello è stato il nuovo giudice della Corte Costituzionale. Per essere Amato è amato, sin troppo. Talmente amato da essere l’uomo trasversale capace di servire ossequiosamente gli interessi in più periodi di uomini politici apparentemente diversi. Invece forse ne è la cartina di tornasole. La sua presenza svela perfettamente ciò che è avvenuto ed avviene in Italia sin dagli anni ’80, perfettamente magnificati dal craxismo prima e suggellati dal berlusconismo poi. Sino a trovare malta cementizia nel piddismo, nel tempo divenuto un mero centro di potere, politico ed economico s’intende.

L’Italia è perenne ostaggio di una pletora di persone, molte delle quali ottuagenarie, che opera apparentemente nell’interesse pubblico ma che con cinismo si ostina a perseguire l’interesse privato. Una massoneria, oramai a cielo aperto, che ogni giorno cesella una parte del Vaso di Pandora.

Et voilà, nell’ordine solo da ultimo: le larghe intese (larghissime anche se apparentemente strette), il teatrino del “decreto del fare” (ma soprattutto dell’apparire, atteso che ciò che era stato promesso, dalla legge elettorale alla abrogazione del finanziamento sui partiti, dal taglio del costo del lavoro sino alla riforma fiscale, è caduto nell’oblìo), i 4 senatori a vita pronti all’emergenza, il neo giudice costituzionale di lungo corso. Tutto ciò condito dai “corazzieri” Boldrini e Grasso pronti ad intervenire col manganello nel caso in cui qualcuno si azzardi a nominare (neanche toccare, si badi bene) il grande monarca, vero ideatore, ispiratore, per alcuni solo gran ciambellano, King George I-II. Peraltro gli unici che in questi mesi hanno nominato invano il nome di Dio son stati solo i grillini, rei blasfemi di essere l’unica (leggasi u-n-i-c-a) forza di opposizione, ancorchè a volte siano stati dipinti (a torto o meno) come armata Brancaleone.

L’ultimo tassello, l’uomo Amato, anzi amatissimo, va ad incastrarsi perfettamente in tale disegno. Il Giudice delle Leggi ha una straordinaria importanza nella vita di questo Paese, perché interviene in materie delicatissime, ponendo (e spesso cambiando) la prospettiva intera di una materia.

In un paese civile, culla presunta della civiltà e del diritto, ti aspetteresti che per ogni ruolo apicale (e straordinariamente apicale come in tal caso) si aprisse un dibattito teso a selezionare in una rosa di nomi la figura più autorevole, più etica, più competente. Da noi accade spesso il contrario. Se parti con tali qualità (autorevolezza, statura etica e professionale) sei già penalizzato e sicuro di non tagliare il traguardo.

Perché in Italia i criteri di scelta sono ben altri: amicali, reciprocità, interessi privati, referenziali, dipendenza. Si nomina e si sceglie tizio non perché il più qualificato, il migliore per quel ruolo ma perché serve nell’accezione più alta, anzi più bassa [lat. servire, propr. «essere schiavo», da servus «schiavo»]. Alcuni vedono in ciò una scelta politica senza avvedersi che oramai adoperiamo tale parola in termini antitetici poiché non è amministrazione nell’interesse della polis ma quella che noi definiamo tale è solo “amministrazione nell’interesse di alcuni” oligarchi. Oligarchi oramai espressione della gerontocrazia, con un’unica missione: conservare il potere e possibilmente aumentarlo.

Potrà apparire molto populista una tale analisi ma non ne vedo altre.

Il problema dunque è come smantellare una tale ragnatela. Altrove avremmo avuto una rivoluzione civile con spargimento di sangue, da noi la si invoca da più parti ma ognuno attende che sia l’altro ad iniziarla. Le scelte violente peraltro spesso sono già il segno di una grave sconfitta.

La rivoluzione deve partire dal basso, dalla consapevolezza. Per esservi consapevolezza serve un’informazione indipendente e adeguata e un popolo che abbia voglia di essere reso consapevole. L’impressione è che manchino entrambe. E non è già un buon inizio. Serve poi la capacità di indignarsi. Su questo versante siamo già molto avanti, in progress.

Occorrono però le prospettive di un modello di legalità, di meritocrazia, di efficienza, di responsabilità che in Italia risultano totalmente assenti. E su questo occorre lavorare tanto. Legalità non è avere tante leggi che burocratizzano ogni aspetto della vita ma poche leggi chiare e applicate. Meritocrazia è consentire a tutti di partire dagli stessi blocchi di partenza, premiando poi i più capaci. Efficienza è garantire servizi in tempi ragionevoli e con standard di qualità adeguati. Responsabilità è l’essere chiamati a rispondere delle proprie azioni. Tutto ciò in Italia manca ed occorre partire da ciò, con l’impegno vitale dei più giovani.