Economia & Lobby

Energie rinnovabili, quanto ci costano i sussidi?

I sussidi alle energie rinnovabili pesano oggi sulle bollette elettriche per circa 12 miliardi l’anno. Si possono ridurre prendendo decisioni impopolari, ma inevitabili viste le difficoltà economiche e finanziarie del paese.
di  (Fonte Lavoce.info

Dove nascono i sussidi

I sussidi alle energie rinnovabili, e al fotovoltaico in particolare, sono forse una delle peggiori vicende di malgoverno, di cui nessuno vuole parlare probabilmente perché la responsabilità è condivisa da destra e sinistra.
Il fotovoltaico è partito col decreto Bersani-Pecoraro Scanio che prevedeva come obiettivo il raggiungimento di una potenza istallata di 3 GW nel 2016: oggi si è già arrivati a 17 GW. Non si è trattato dunque di una politica voluta: semplicemente, i Governi di sinistra, prima, e di destra, poi, non hanno ridotto gli incentivi mentre crollava il costo dell’investimento e si è quindi offerta una magnifica opportunità di lauti e sicuri profitti a tanti, senza nemmeno il tempo per sviluppare un’industria nazionale.

Nel complesso, i sussidi alle energie rinnovabili pesano oggi sulle bollette elettriche (per più di due terzi a carico delle imprese) per circa 12 miliardi l’anno, cui bisognerà aggiungere un altro paio di miliardi l’anno per indennizzare (“capacity payments”) le centrali termiche che devono stare in stand by per coprire i fabbisogni quando la produzione da rinnovabili (che ha priorità di ritiro) cala. Un’operazione colossale, equivalente a tre punti di Iva, determinata solo da decreti ministeriali e gestita “fuori bilancio” in quanto i sussidi vengono addebitati alle bollette come “oneri generali di sistema” tramite la componente A3.

Se per la copertura di questi oneri fosse stata introdotta una “imposta ecologica”, assoggettata ad approvazione parlamentare, credo proprio che il Parlamento avrebbe esitato a innalzare di tanto la pressione fiscale nel giro di soli due-tre anni;  magari avrebbe preferito usare 12 miliardi per ridurre il cuneo fiscale e migliorare così la competitività delle imprese che invece è stata pesantemente danneggiata dall’incremento del costo dell’energia.

Il ministro per lo Sviluppo economico Zanonato pensa a uno schema per ridurre gli oneri sulle bollette di 3 miliardi l’anno mediante emissione di obbligazioni, con l’intento di diluire gli oneri su un periodo più lungo degli attuali diciotto anni residui (media per impianti fotovoltaici). Non conosco le modalità previste per lo schema, ma collocare ogni anno sul mercato 3 miliardi di obbligazioni a scadenze lunghissime sarebbe difficile, oltre che assai oneroso in termini di tasso d’interesse. Il mercato poi le percepirebbe certo come un’ulteriore componente del debito pubblico, siano o meno registrate nella contabilità ufficiale del debito, e non pare proprio opportuno aggravare ulteriormente un debito che continua a salire in modo allarmante.

Interventi senza aumentare il debito

L’obiettivo di diluire gli oneri nel tempo potrebbe essere ottenuto, senza emissione di nuovi debiti, riducendo del 25-30 per cento quanto dovuto ogni anno ai produttori di energia fotovoltaica (con potenze superiori a certi minimi, per esempio 100Kw, esclusi gli scambi sul posto), con l’impegno del Gse di pagare poi queste somme, in modo dilazionato e senza interessi, a partire dall’anno in cui scade il diritto al sussidio o tariffa agevolata (cioè tra 17-18 anni).

Ci sono altri modi per ridurre direttamente il costo dei sussidi, come quello seguito dalla Spagna. Anche lì, i sussidi al fotovoltaico sono esplosi per il repentino calo del costo degli investimenti, ma, a differenza nostra, buona parte dell’onere era stato finora coperto dalla fiscalità generale per contenere l’aggravio di costo dell’energia. La necessità di ridurre il disavanzo pubblico ha però costretto il Governo spagnolo a tagliare a più riprese i sussidi promessi. L’ultimo taglio, di circa 2,7 miliardi, è stato deciso a metà luglio, ma il Governo ha annunciato di voler proseguire con una riduzione selettiva, in modo da limitare il profitto pre-tasse del fotovoltaico al rendimento dei titoli di Stato più 3 per cento. Una misura retroattiva che ovviamente ha fatto infuriare gli operatori del settore.

Se consideriamo le difficoltà incontrate dal nostro Governo per trovare le risorse anche solo per posticipare di qualche mese il paventato aumento dell’1 per cento dell’Iva e, più in generale, le ristrettezze della finanza pubblica, la disoccupazione diffusa, la crisi delle imprese, sembrerebbe giustificato che lo Stato cerchi di recuperare almeno parte dei grandi profitti che molti hanno ottenuto dagli investimenti nel fotovoltaico (e altre energie rinnovabili). In tempi eccezionali si possono giustificare anche misure retroattive, per quanto sgradevoli e a rischio di ricorsi legali.

Non sarebbe difficile individuare i progetti che, nell’arco di un paio d’anni, hanno beneficiato di tariffe eccessivamente elevate rispetto ai costi d’investimento e si potrebbe applicare a questi una nuova “Robin Hood tax”, dedicando il ricavo a una riduzione degli oneri generali di sistema. L’Agenzia per l’Energia potrebbe essere poi autorizzata ad addossare ai produttori di energie rinnovabili quanto meno tutti gli oneri per i capacity payments.

Si tratta di un ventaglio di possibili interventi, ognuno dei quali potrebbe mettere in difficoltà i produttori che si sono finanziati con elevata leva finanziaria, ma le difficoltà dello Stato non sono minori e imprenditori che hanno realizzato lauti profitti potrebbero anche usarli ora per ricapitalizzare le loro imprese.

Visto poi che abbiamo già raggiunto gli obiettivi di quota prodotta dalle rinnovabili sarebbe opportuno tagliare con decisione tutti i sussidi per nuovi investimenti in questo settore e tornare ad aver rispetto per il ruolo del mercato anche nel settore elettrico. Sono decisioni difficili e impopolari, che però non possono essere eluse pensando di ricorrere ancora una volta a “ingegnerie finanziarie”.

 

Bio dell’autore

Allievo di Francesco Forte, ha lavorato come economista al Fondo Monetario Internazionale, quindi come dirigente nel settore finanziario di una multinazionale. Tra il 1980 ed 1984 è stato direttore esecutivo della Banca Mondiale. Ha quindi insegnato, all’Università di Bergamo, i corsi di Politica economica e Scienza delle finanze e, per due anni, Finanza alla LUIS. Oggi in pensione, svolge attività di consulenza.