Politica

Una Camera dei Deputati senza rigore né buon senso istituzionale

Ha sollevato un polverone la decisione del Presidente della Camera, Laura Boldrini di far interrompere ai deputati le loro ferie estive e farli rientrare d’urgenza a Roma per comunicare loro l’avvenuta presentazione, da parte del Governo, del decreto legge c.d. “sul femminicidio”.
 
La realtà – nuda e cruda, senza commenti, polemiche, opinioni, apprezzamenti e critiche che, invece, in aula, nel corso della seduta di ieri non sono mancati – è che quella di Laura Boldrini, come da lei stessa ricordato, non è stata una decisione discrezionale ma, semplicemente, un atto dovuto, impostole dalla Costituzione che all’articolo 77, con previsione chiara ed inequivoca [n.d.r. magari i nostri governanti e parlamentari sapessero scrivere le leggi come le scrivevano i costituenti] stabilisce che, a seguito della presentazione di un decreto legge, le Camere debbano – addirittura se sciolte e non semplicemente se in pausa estiva – riunirsi per iniziare l’esame della legge di eventuale conversione del decreto legge.
 
E’ una disposizione, naturalmente, anacronistica dalla cui attuazione derivano oneri e costi assolutamente inutili per i cittadini come giustamente – almeno nella sostanza – rilevato dai deputati del Movimento Cinque Stelle.
Nella società dell’informazione e nell’era di Internet, la comunicazione dell’avvenuta presentazione di un decreto legge potrebbe – ed anzi dovrebbe – essere trasmessa a mezzo posta elettronica certificata a tutti i Parlamentari a costo zero per i cittadini ed evitando la “messa in scena” – lo scrivo senza alcuna volontà polemica – di una seduta tanto solenne quanto deserta e distratta, della Camera dei Deputati che si è esaurita in meno di due ore, polemiche incluse [n.d.r. la formalizzazione dell’annuncio della presentazione del decreto legge ha richiesto 2 minuti: è iniziata alle 13.12 e si è conclusa alle 13.14].
Dura lex sed lex.
 
Legittimo chiedersi perché tra centinaia di parlamentari strapagati che si sono succeduti sugli scranni del nostro Parlamento negli anni, producendo migliaia di disegni di legge – anche costituzionali – inutili o scarsamente utili, nessuno si sia mai preoccupato di proporre un “ammodernamento” delle procedure immaginate dai padri costituenti ma è irragionevole ed ingiusto suggerire la disapplicazione di una norma costituzionale o prendersela con il Presidente della Camera che le ha dato applicazione.
Tanto rumore per nulla, dunque? Una polemica di fine estate semplicemente fuori luogo ed inopportuna come suggerito da Laura Boldrini nel suo intervento di ieri mattina?
Niente affatto.
 
Governo e Parlamento, in questa vicenda, hanno dato e continuano a dare un pessimo esempio ai cittadini, un esempio di assoluta mancanza di rigore e senso delle Istituzioni.
Cominciamo dalla fine, ovvero da quanto è successo in Aula: ingiustificate ed ingiustificabili le tantissime assenze, in tutti gli schieramenti, e, ovviamente, in primo luogo quelle dei leaders dei partiti.
Nessuna critica o contestazione di una legge ne consente l’autonoma ed arbitraria disapplicazione con la conseguenza che nessuno dei deputati assenti avrebbe dovuto permettersi il lusso di rimanere a casa o in vacanza semplicemente perché convinto dell’inutilità della sua partecipazione alla seduta di ieri mattina.
Se i cittadini guardassero ai loro rappresentanti come esempio da imitare, da domani, potrebbero iniziare a disapplicare le migliaia di disposizioni di legge che impongono loro comportamenti o adempimenti assolutamente inutili e dispendiosi. Sarebbe la fine dello Stato di diritto. 
 
Ma non basta. In aula, ieri mattina, è successo di peggio ovvero non è successo ciò che, invece, avrebbe dovuto accadere.
La Costituzione, infatti, non stabilisce che la Camera debba essere convocata entro cinque giorni, anche se sciolta, per un “capriccio” dei nostri Costituenti ma perché, qualora venga presentato un Decreto Legge e si renda necessario valutare se convertirlo o meno in legge entro i successivi sessanta giorni, il Parlamento possa – ed anzi debba – immediatamente iniziare a lavorare senza perdere tempo.
Il Regolamento parlamentare – quello stesso al quale il Presidente della Camera dei Deputati ha fatto ripetutamente riferimento per giustificare la sua “non decisione” – infatti stabilisce che a seguito della comunicazione dell’avvenuta presentazione di un decreto legge, nei successivi cinque giorni, il Comitato per la legislazione – un organo composto da dieci parlamentari –  debba esprimere il suo parere alle Commissioni assegnatarie del disegno di legge di conversione.
 
Il Comitato per la legislazione, tuttavia, sin qui non si è neppure convocato per affrontare l’esame del disegno di legge con la conseguenza che, ben difficilmente, potrà esprimere un parere nei prossimi tre giorni, ovvero nel termine previsto dal vigente regolamento. Allo stesso modo tutto – o quasi – tace dalle commissioni riunite Giustizia e Affari Costituzionali che pure dovrebbero, sempre a norma del Regolamento parlamentare, addirittura riferire all’assemblea sul contenuto del decreto legge entro quindici giorni. Tutto quello che sin qui si è appreso, tuttavia, è che la Commissione Giustizia ha anticipato la data della propria prossima convocazione dal 5 settembre al 26 agostoUn gesto importante ma troppo poco per confidare nel fatto che entro il cinque settembre possa compiutamente riferire in aula sul contenuto del decreto legge. La convocazione urgente dei Deputati e l’Assemblea di ieri, dunque, hanno salvato la forma ma non la sostanza del dettato costituzionale che avrebbe preteso che il Parlamento iniziasse davvero subito l’esame del decreto legge.
 
Ma quello che è accaduto e quello che non è accaduto in Parlamento è solo l’epilogo di un brutto spettacolo pseudoistituzionale e si sarebbe ingiusti nel puntare l’indice contro Montecitorio senza prendere nota anche del comportamento di Palazzo Chigi che, nella vicenda, ha responsabilità certamente maggiori.
 
Cominciamo dal principio. Guai a rimproverare al Governo di aver scelto di intervenire in materia di femminicidio. Si tratta di un’autentica emergenza civile.
Ma c’è emergenza ed emergenza e con un po’ di obiettività occorre riconoscere che una questione sociale, civile, politica complessa come quella della violenza sulle donne non è un’emergenza da provvedimento di ferragosto.
 
Ed allora, forse, i rimproveri sul carattere auto-promozionale e demagogico ingiustamente indirizzati al Presidente della Camera Laura Boldrini, in questa occasione, avrebbero potuto e dovuto avere altri destinatari.
Sarebbe davvero cambiato qualcosa se il Governo avesse atteso una manciata di giorni per varare il provvedimento “dedicato” – ma solo mediaticamente – al femminicidio?
Il Governo, sapeva che comunicando al Parlamento l’adozione di un decreto legge il 17 agosto, avrebbe imposto l’immediata convocazione della Camera dei Deputati con tutto quel poco che ne è derivato.
Ma, a ben vedere, il punto non è neppure questo o, almeno, non è solo questo. La ragione per la quale il Governo ha sbagliato ed ha mancato di buon senso, rigore e senso delle istituzioni ben più di quanto non abbia fatto, sin qui, il Parlamento è che il Decreto Legge che Palazzo Chigi ha voluto “dedicare” al femminicidio, riempendo così le pagine dei giornali di mezza estate, è in realtà uno zibaldone di norme e disposizioni disomogenee nel quale dopo aver liquidato in poche battute il tema della violenza sulle donne si affrontano una serie di questioni diverse e, probabilmente meno urgenti, che vanno dalla disciplina sulla protezione civile, a quella sulle province, passando per il furto di identità elettronica.
 
Tutto questo non solo violando il dettato costituzionale che vorrebbe che il Governo si sostituisse al legislatore quando davvero necessario ed urgente e, soprattutto, con provvedimenti su questioni omogenee ma anche imponendo al Parlamento un inutile superlavoro nel pieno della pausa estiva giacché, ora, i Parlamentari, se volessero – come dovrebbero – far bene il loro lavoro si ritroverebbero a doversi cimentare con una pluralità di temi e questioni di straordinaria complessità in tempi ristrettissimi e senza la necessaria ponderazione.
Tutto questo non ha niente a che vedere né con la sacrosanta preoccupazione di proteggere le donne dalla bestialità umana né con la buona politica ma significa solo gestire la cosa pubblica come fosse la propria e mancare completamente di buon senso e, ancor di più, di senso delle istituzioni.