Economia & Lobby

E se la sanità sfidasse il governo?

Questo è un governo che nonostante le retoriche “su ciò che serve al paese” per sua natura è inevitabilmente costretto a mettere  al primo posto “ciò che serve a se stesso” per sopravvivere. Non solo dopo la condanna di Berlusconi, le “larghe intese” in quanto tali, prima dell’emergenza, pongono un problema di autoriferimernto.

In questo modo il blocco dei contratti della sanità, i costi standard, i tagli lineari, non sono altro che politiche negative che servono al governo non al paese.

Al paese che sta male serve essere curato non abbandonato. Le “larghe intese” costano e pongono un problema di come allocare tanto gli svantaggi che i vantaggi in una società. Che la sanità non abbia alcun peso rispetto a questioni come l’Imu, ad esempio, non lo si capisce solo dal blocco dei contratti appena riconfermato, ma da tante altre cose. Il “decreto del fare“, per esempio, per la sanità suona come  un ridicolo calembour cioè come il decreto “del non fare”.

Abbiamo un sistema pubblico che sta affondando e ci si preoccupa dell’abrogazione dei certificati inutili, del fascicolo elettronico ect, degli ordini professionali, questione certamente cara alle burocrazie categoriali, ma non così prioritaria né per i medici né per gli infermieri e meno che mai per gli ammalati. Insomma è inutile girarci intorno, la sanità non rientra tra le priorità delle grandi intese. 

Insomma, oltre ai problemi del paese ne abbiamo uno in più, il“consociativismo”, ormai la vera controparte della sanità. Che cosa è? In inglese si dice “power  sharing” che vuol dire una condivisione di poteri tra parti normalmente contrapposte…in nome delle necessità del paese (sic!) .Un “embrasse nous” che come un muro di gomma respinge tutte le forme di conflitto sociale, scioperi compresi. Quello appena fatto dai medici nonostante l’alta adesione è caduto nel vuoto e probabilmente tutti quelli che si faranno in futuro faranno la stessa fine. Con il consociativismo ormai gli scioperi sono armi spuntate. 

Mi sto convincendo  che contro questa brutta bestia fino a quando non si deciderà di votare sia necessario aggiornare le strategie. Bisognerebbe, ad esempio, organizzare un contro-power share vale a dire un accordo politico tra tutti i soggetti della sanità al fine di sottoscrivere una “mozione di sfiducia” nei confronti del “non fare” quindi del suo spiccato conservatorismo che sta uccidendo la sanità pubblica, sulla quale raccogliere centinaia di migliaia di firme creando una mobilitazione di massa.

Bisognerebbe sfidare le politiche di negazione del governo cioè il non progetto con il progetto. Per esempio il governo si è dichiarato disponibile a trattare le parti normative dei contratti anche se a costo zero. Bene. Per quanto sia un errore separare valori da valori, si prepari una piattaforma che ridefinisca il lavoro, chi lavora, i modi organizzativi, le prassi, i contesti aziendali, le forme retributive e contrattuali, gli statuti giuridici.

Se si resta nelle logiche dei vecchi contratti a lavoro invariante i contratti saranno solo crescita di spesa e la normativa si ridurrà ai soliti istituti contrattuali. Quanto alle retribuzioni, si possono accettare le difficoltà congiunturali, ma non senza contropartite, quindi si potrebbero definire dei crediti, dei meccanismi di retroattività, concordare soluzioni diluite nel tempo…senza rinunciare in nessun modo a separare il valore economico dal valore normativo, introducendo laddove necessario persino nuove forme retributive. Non si può pensare di cambiare il lavoro senza un plus valore e non si può pensare di produrre del plus valore senza retribuirlo.

Al consociativismo si risponde con il riformismo. Se il  consociativismo serve a gestire i conflitti  il riformismo serve a restituire all’idea di cambiamento tutta  la sua conflittualità progettuale. Il presupposto come si capirà, è disporre di  una piattaforma per cambiare. Secondo me è possibile, le idee ci sono, bisogna  metterle insieme..elaborarle meglio…arricchirle e disporle in ordine lungo una linea inequivocabilmente  riformatrice. Ci vuole qualcuno che però prenda l’iniziativa. Se restiamo a bagno della logica consociativa  ci ridurranno a niente e finiremo con il perdere la fiducia  dei malati e della nostra gente.