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La Tunisia che merita più attenzione in un passaggio difficile

La Tunisia è a una svolta, ma non si sa ancora bene quale. Val la pena di guardare e di ascoltare, nonostante la confusione, un paese che vuole difendere democrazia, libertà e pluralismo ed espellere i germi delle guerre civili che circolano ancora nel Magreb, dalle adiacenti Algeria e Libia. Un paese pacifico, che si sconvolge per un omicidio politico, e che poco prima del tramonto del 29 luglio ha conosciuto il primo eccidio militare della sua storia recente. Nove soldati uccisi da un gruppo che si può definire jihadista, alcuni di loro sgozzati dopo la morte, come per una firma.

E’ accaduto sul Jebel Chambi, monte della zona centro-occidentale ai confini con l’Algeria. Qui da mesi l’esercito impreparato non riesce a venire a capo della presenza di gruppi armati, che già hanno provocato vittime con le mine anti-uomo. Non si conoscono ancora i particolari di quello che viene definito agguato, o imboscata e che secondo fonti algerine potrebbe essere la vendetta per l’arresto del capo di questo gruppo armato dell’area di Al Qaida, avvenuto qualche giorno fa in Algeria. Fatto sta che nell’atmosfera fortemente polarizzata e polemica della Tunisia c’è chi ha letto questa “imboscata” come una risposta diretta alla presunta infedeltà dell’esercito ai voleri del partito islamista di governo. O addirittura come una immediata applicazione militante e militare del messaggio implicitamente lanciato dal capo del governo Larrayed, che poco prima alla Tv aveva duramente ribadito che il governo a egemonia di Ennahda non si sarebbe dimesso. Come se non bastasse, in serata, a Le Kef, sempre zona occientale verso il confine algerino, l’occupante di una vettura sospetta e senza targa, fermato dalla polizia ha ucciso un poliziotto ed è riuscito a fuggire.

E’  stato un lunedì denso di avvenimenti, e non tutti così tragici, anzi. Quella che alcuni chiamano la seconda rivoluzione, la ribellione della opposizione laica che sventolando solo le bandiere nazionali scende in  piazza dopo il tramonto per chiedere lo scioglimento del governo e dell’assemblea cosituente, è andata avanti. La mobilitazione è significativa a Tunisi e nelle principali città, lo è stato anche in questa notte tra lunedì e martedì. A Sidi Bu Zid, la città ribelle per eccellenza, si è creato una sorta d governo locale autonomo. Ma non è  una mobilitazione di massa tale da sconvolgere i rapporti di forza  e da indurre il governo a lasciare. Molti – anche tra quelli che voterebbero per un partito di opposizione – stanno a casa perchè temono i lacrimogeni e soprattutto perchè temono e non vogliono uno scenario egiziano.

E’ sul piano della società civile e persino della società politica che la causa della opposizione sta crescendo. Ieri i deputati che hanno dichiarato di ritirarsi dai lavori dell’Assemblea Costituente hanno raggiunto – così dicono – la quota di un terzo. Così possono incepparla.
Ciò che resta del partito Ettakatol, partito di centrosinistra che dopo le elezioni dell’ottobre 2011 è entrato nella coalizioen di governo con Ennahda, ha dichiarao che bisogna chiudere questo governo e aprirne uno di unità nazionale. E soprattutto, nella serata, la Ugtt, il potentissimo sindacato tunisino, ha deciso i schierarsi apertamente per la caduta del governo, anche se non per lo scioglimento della Costituente.

Alla riunione partecipava anche quella che noi chiameremmo Confindustria. A questo punto si tratta solo di capire come la Ugtt intende realizzare questo obiettivo e un appello all’esercito non è più da escludere. Un segno di come l’aria stia cambiando in Tunisia è stata la nuova fase della vicenda di Amina, la Femen tunisina che forse ormai sta diventando un’altra cosa ( come ho scritto in precedente post.)

Accusata di aver strepitato in carcere per difendere una co-detenuta dai castighi delle guardie, Amina è stata salutata come eroina dei diritti dalle associazioni per i diritti umani e ieri è stata assolta dall’accusa. Resta in carcere preventivo perchè la magistratura di Kairouan ce l’ha con lei, ma c’è chi scommette che uscirà presto. Quale governo prenderà il posto di quello a guida Ennahda, con quale legittimazione e a quale prezzo? Questo è probabilmente il tema di oggi e dei prossimi giorni. Per una soluzione occorre sedersi attorno a un tavolo e discutere.

Ma non è facile perchè da una parte si bruciano le bandiere di Ennahda e i più arrabbiati ne devastano le sedi. Dall’altra attorno all’ala più intransigente di Ennahda si muovono gruppi para-militari chiamati “Lega per la Protezione della Rivoluzione”.