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Tour de France, fatti e fughe – Per Le Monde ha vinto ‘Froomstrong’

Mentre Chris Froome trionfa sui Campi Elisi e la stampa francese chiede trasparenza e verifiche sugli straordinari risultati del team Sky, in Italia si preferisce non parlare di doping. E si punta sulla "prescrizione mediatica" per uso di sostanze illecite

Diciannovesimo appuntamento con la nuova rubrica del Fatto.it: Leonardo Coen, firma del giornalismo italiano, racconta il centesimo Tour de France tra cronaca, ricordi, retroscena e aneddoti.

In un tripudio di sons et lumières sul pomposo Arc du Triomphe un po’ datati e per turisti di bocca buona, si è concluso il più polemico e misterioso dei cento Tour de France sinora disputati: la solita passerella autoreferenziale della “corsa più importante del mondo”, le dichiarazioni commoventi del vincitore Christopher Froome con dedica alla mamma scomparsa che lo incoraggiò ad affrontare i sacrifici per diventare il ciclista che è oggi, un saluto alla bionda compagna Michelle, fotografa sportiva, il dovuto ringraziamento alla squadra Sky e alla sua filosofia agonistica, la sincera riconoscenza nei confronti dei compagni che lo hanno aiutato nell’impresa, l’emozione di essere premiato dagli idoli del ciclismo, Eddy Merck, Bernard Hinault, Miguel Indurain e Greg Lemond, i primi tre vincitori ciascuno di cinque Tour, l’americano “solo” di tre…Insomma, la melassa finale che tanto piace agli organizzatori preoccupati di salvaguardare il Tour, il suo cerimoniale, la sua grandeur che va oltre gli incidenti di percorso, chiamiamoli così, ossia che negli ultimi quindici anni, due terzi dei vincitori sono risultati dopati (e non solo loro). E tra un paio di giorni il rapporto del Senato aggiornerà queste imbarazzanti statistiche sollevando il velo sul Tour del 1998 vinto da Marco Pantani.

Proprio stanotte ho riletto gli articoli dei quotidiani italiani, quando trapelò la notizia che l’eroe ‘sventurato’ del ciclismo italiano fece suo il Tour, dopo aver dominato il Giro, sfruttando sostanze dopanti che allora non poterono essere rintracciate ma che oggi, con sistemi di analisi più sofisticati, sarebbero state evidenziate senza alcun dubbio. Apriti cielo! Il coro unanime dei nostri cantori di bicicletta ha sottolineato l’indelicato “processo postumo” nei confronti di un grande e sfortunato campione, vittima del sistema e di chi lo ha avviato sulla mortale strada della droga. Perché farlo morire due volte?

Comprendo quanto possa essere doloroso per la famiglia e gli amici e i tifosi questo nuovo (?) disvelamento, ma se si vuole davvero lottare contro la piaga del doping nello sport, e non solo nel ciclismo, bisogna sopportare anche queste dure prove. Prima viene la verità, poi si può discutere su di chi è la colpa, e le responsabilità. Purtroppo, invece, sta passando – a cominciare dalla Rai – una linea che non è eticamente accettabile: non bisogna cancellare gli albi d’oro a posteriori, via via che i risultati dei test antidoping si fanno più seri e avanzati. Se allora non furono in grado di scoprire nei prelievi dei corridori tracce di sostanze dopanti, vuol dire che il risultato è regolare. Come dire, se uno è stato più furbo ed abile dei controllori, peggio per gli 007 dell’antidoping. E’ la logica della prescrizione, tanto in auge in questi anni berlusconiani e di furbetti del quartierino. La prescrizione evita guai giudiziari, ma non cancella il reato. Macché: da noi guai a rivangare il passato, anzi, da noi si riscrive e si mistifica la storia. Il ‘caso Pantani‘ è stato trattato con criteri emotivi, passionali: imprese e tribolazioni, sofferenze e ingratitudine…non un Grande Dopato, ma una Grande Vittima. Si giustifica il ricorso al doping. Demoni e muse, per raccontare una vicenda umana che è cupa e tragica. In Francia, a differenza di quanto scrivono e pensano in Italia c’è invece un profondo dibattito sui mali del doping, e sulle prestazioni stupefacenti di parecchi corridori in questo centesimo Tour, suffragate da dati abbastanza significativi (vi riporto una tabella sulle potenze espresse in salita da cinque dei protagonisti in gara).

Le Monde l’altro giorno ha titolato senza remore “Froomstrong“. Una foto ha fatto il giro del pianeta (tranne che in Italia…): si vede un cartellone con la scritta “Froome” e sotto un grande punto interrogativo, mentre passa il gruppo del Tour…Insomma, porsi delle domande è lecito, e non va criminalizzato. In base ai ripetuti controlli antidoping effettuati durante il Tour, la vittoria di Froome sullo straordinario Quintana è regolare, ma come scrive oggi un’opinionista di Le Monde in una lettera aperta a Juan Manuel Santos Calderon e a Pat Mc Quaid, rispettivamente presidente della Colombia e presidente dell’Uci, l’unione ciclistica internazionale, in virtù delle volontà da loro espresse di lottare contro la droga e il doping, chiede che si sgombri il campo da certe ambiguità. Il governo colombiano sta discutendo della possibilità di legalizzare le droghe ‘dolci’, per limitare la violenza, così come la legalizzazione del dopaggio ‘dolce’ (sdoganamento della caffeina e dei corticoidi) non ha affatto stroncato la violenza delle prestazioni. Il centesimo Tour era stato annunciato come quello “di una nuova era del ciclismo”. Peccato che anche quello del 1999, l’anno dopo lo scandalo Festina, era stato definito “il Tour del rinnovamento”. In effetti, fu il rinnovamento dei sistemi per fregare i controlli antidoping, come dimostrò il settennato di Lance Armtrong

Allora, riflettiamo un po’ sullo ‘spettacolo’ cui abbiamo assistito in queste tre settimane. Il portoghese Rui Costa, eroe vincitore di due tappe, è reduce da una sospensione per doping, così come lo è stato Alberto Contador, apparso, “non esplosivo ed agile come gli anni dei suoi trionfi”, parole di Vincenzo Nibali che ha evitato di partecipare al Tour ma sarà al più potabile Giro di Polonia che parte fra qualche giorno da…Rovereto. Proprio Rui Costa ha corso in 6 ore 11 minuti e 52 secondi di intensi sforzi superando quattro Gran Premi della Montagna di cui due “fuori categoria”, sotto la pioggia, battendo il record mitico del quinto Gran Premio (la Croix Fry), sprigionando addirittura 429 watt, considerata una prestazione quasi miracolosa. Il record precedente, ottenuto sotto il sole, apparteneva a Floyd Landis, vincitore positivo del Tour 2006…

La maglia gialla attribuisce i suoi successi alle tecnologie e alla qualità “rivoluzionaria” (testuale) degli allenamenti e della preparazione imposta dalla Sky, lo squadrone britannico che l’anno scorso fece suo il Tour con la doppietta Bradley Wiggins e Froome. I dirigenti della Sky hanno sempre vantato “tolleranza zero contro il doping”. Polemicamente, quelli della Sky hanno consegnato un dettagliato dossier sulle prestazioni di Froome. E’ colpa dei critici esigere chiarezza, alla luce di certi dati? Le Monde li ha confrontati. Lungi noi dal considerare un uomo, e a maggior ragione, un campione, un fuoriclasse come un’equazione, ci si chiede come si possano infrangere dei limiti e delle potenze diciamo così “stravaganti”, da parte di uno che, come ha raccontato il suo primo allenatore David Kinjah (pure corridore), era “un ragazzo cool che non aveva attitudini speciali”. Oltretutto, Sky, proprio ieri durante le premiazioni, ha detto che questo è solo l’inizio…

Lettura consigliata – Il ponderoso Go Lance!, romanzo saggio di Jean-Emmanuel Ducoin (540 pagine, edizione Fayard, giugno 2013), uscito giusto alla vigilia del centesimo Tour. A mio avviso, uno dei migliori libri di ciclismo degli ultimi anni, comunque il migliore su Armstrong, ben diverso da certe slinguazzate apparse qualche anno fa, pure in Italia. Non è soltanto la storia di un corridore, è la storia di una smisurata ambizione, la storia di un ragazzino del Texas abbandonato dal padre, picchiato dal patrigno, ma amato dalla madre sino all’irragionevolezza. In questo drammatico contesto familiare, Lance sa che in un solo modo può uscirne fuori: cominciando ad essere, fin da subito, un vincente. La sua identità si trasforma, diventa il Vincitore, oltre ogni speranza. Più che un campione, è il suo trionfo sul cancro e il suo sostegno alla ricerca medica che fanno di lui un eroe americano. Gli uomini d’affari lo corteggiano, i politicanti gli promettono mari e monti. La sua vita è come la sceneggiatura d’un film hollywoodiano. E’ l’esempio perfetto di un “winner” nel Paese dei “winners”. Ma che cosa c’era dietro tutto ciò, dietro l’immagine che Lance si era costruito ad ogni costo e che era riuscito ad imporre in tutto il mondo? Pur di conservare il suo mito, ha imbrogliato. Ha mentito. Ha distrutto se stesso. Ha incrinato maledettamente il sogno americano.

L’autore tiene un blog (La roue tourne, la ruota gira), è redattore capo del quotidiano l’Humanité, è segretario nazionale degli Amici dell’Umanità, l’anno scorso aveva pubblicato Dans les secrets du Tour de France (edizioni Grasset) scritto assieme al’ex corridore Cyrille Guimard (colui che beffò Merckx in volata, battendolo di una spanna mentre il Cannibale, sicuro d’aver vinto, già esultava).